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Introduzione di Maria Grazia Calandrone a Zodiaco di Valentina Neri

 

Collezione di quaderni di poesia “Le gemme” n. 18 anno 2017 (Ed. Progetto Cultura)  

 

ISBN 978 88 6092-956-3

 

La poesia di Valentina Neri è frontale e diretta, ma non per questo manca di lirismo. Il suo è, però, un lirismo annunciato nella sola sua sostanza e che assume una forma traslata e orale, perché questa è poesia buona per essere detta, parlata, dichiarata, anche urlata o scandita come arringa.

Neri possiede infatti una scrittura originale, dove l’io è tutto corpo e il corpo appare più che frantumato depezzato, in una sorta di dionisiaco femminile che ha il coraggio di accettare il proprio avvenuto depezzamento, il proprio essere andata in pezzi e, anzi, inneggia al caos e ammette di sapere a cosa va incontro quando entra da sola nel regno del lupo, in cerca di un dolore che sia dichiarazione di esistenza.

È dunque, questa, una poesia della maceria tenuta unita da una coscienza vigile e mai arresa, ma limpida e concreta, benché riferisca continuamente la terra ai segni astrali – e viceversa, lo vedremo; poesia non arroccata e invece molto disponibile, desiderosa di essere compresa, poesia di chi ha “dato già il potuto / e quando ho amato l’ho detto senza storie” e così espone anche la propria vocazione alla morte, la propria rabbia e malinconia per il tempo sprecato – e la delusione di chi non teme nulla e incontra la noiosa, paralizzante paura di un altro: come sempre avviene, anche in questa poesia sensuale e astrologica, i baci non dati (le rose non còlte) sono quelli indimenticabili. 

La lezione che impariamo è una frontalità assoluta. Nessun pudore, nessun infingimento, dichiarato il piacere del male e del pericolo, una caparbia cognizione della ferita che non può essere letale per chi è già sopravvissuta una o più volte al dolore e alla lacerazione. Per chi non ha paura del dolore la vita può essere vissuta a capofitto, mischiando cielo a terra e adottando: “solide misure anti-stereotipo / prima di diventare nessuno” – o diventare la ninfea che conosce di sé attraverso lo sguardo del pittore che la rappresenta – o lasciarsi cullare dalla fantasia di venire approfonditi attraverso la discutibile pace stellare di distanza e silenzio. 

Ultima dichiarazione di esistenza: lo sguardo del poeta non si posa sul convenzionale umano, su chi vive la forma delle cose e il nascondimento o la rimozione delle evidenze. Qui non viene posto il problema filosofico intorno al “vero”, il nucleo delle cose viene raggiunto grazie all’intuizione e alla crescita, è un conquistato a priori dal quale sgorga uno sguardo pressoché incrollabile, certo di sé fino all’accusa, nutrito di parole scritte e lette e dotato di uno sguardo che fissa negli occhi il disordine senza cercare di regolamentarlo, anzi facendo discendere anche l’algido ordine degli astri nel gran caos terrestre. 

Fino all’”imprevisto lieto fine”.

 

Maria Grazia Calandrone

 

La mosca cieca

Sono solo una mosca cieca

che sale per sbaglio sui treni giusti.

Ma tu non scacciarmi.

Stammi accanto.

Anche se non so nulla di ciò che voglio

non avere paura della mia incoscienza.

La luce della ragione non m’interessa.

Solo il buio rassicura i miei sensi.

Per questo non mi s’infrangono i sogni all’alba.

Sperimenta con me il miracolo della cecità.

Camminami a fianco

ignorando il caos della virtualità.

In cielo, le nuvole come tapis roulant

conducono la mia testa smemorata.

A terra i pericoli sono come tagliole.

Ho lasciato lì, i miei piedi 

a sfidare il possibile orrore. 

Mi piace questa mia danza

sul filo del rischio

questa mia ignoranza grata agli dei.

Grata a Giove! Grata a Nettuno!

Il mio guizzo fa l’amore con l’ottimismo

e concepisce euforia.

Mi piace tenere stretti i miei preziosi dubbi 

conservarli come primizie sciroppate.

Sono solo una mosca cieca!

Ma tu seguimi. E non scacciarmi.

Ora che rifiuto la direzione di ogni bussola

e che non ho più un luogo 

che si possa chiamare casa

ora più che mai, stammi accanto.

Ma fallo per te. Per arrivare prima alla tua meta.

Stretta all’oscurità di questo lampione spento

io così, voglio vivere

continuando ad ignorare, ostinata

l’invito degli ennesimi occhiali.

 

La poesia è la sola mia stanza

 

La poesia è la mia sola stanza.
Tutta echi e tutta specchi
è questa stanza.
Qui, esploro le mie pulsioni marziane

e il Toro che ascende in me

s’inferocisce attraverso le parole.
Parole con cui gioco

a volte, come balocchi

e che più spesso sfurio, come coltelli.
La poesia è la sola mia stanza.
Vorrebbe essere un rifugio
ma chiunque, invece 

può tentare di raggiungermi
guardarmi negli occhi, capire.
La poesia è la mia sola stanza.
La sua porta appena schiusa
è la fessura da cui sbircio
per afferrare i frammenti di umanità
con cui nutro la mia penna.
La sua porta appena schiusa
è il mio donarmi svelandomi
senza trucco né maschere.
La poesia è la sola mia stanza
ma è la stanza di chi, forse
sola non vuole essere.
La poesia è la mia sola stanza.
La stanza dove le mie nudità si umiliano

la mia violenza esplode
e la verità pretende di essere gridata.

Per questo la poesia è la sola mia stanza.

 

Cappuccetto Rosso

 

Ingoia nel tuo ventre la mia disobbedienza.
Il mio peccato abdica a servizio della tua crudeltà.
Nessuno deve vedere nascosta, 

sotto il rossore pudico dal mio cappuccetto,
la voglia mia che ho del male.
Nessuno deve capire
la magia di te che mi turba i sensi
la perversa anima tua che mi farà donna.
Ambisco ad essere punita.
Voglio essere vittima
sono la voglia tua che hai del male.
Sapevo tutto! del bosco … del lupo …
E ora ti vengo incontro:
non puoi deludermi.
Sii tu quello che non sei
non hai speranza.
Seducimi solcandomi il corpo con la foga dei tuoi artigli
graffiami con la soavità delle tue bugie.
Ingoiami … Non vomitarmi!
Ingoiami.
Ingoia la mia solitudine incompresa.
Ingoia la mia inetta nullità.
Fammi male, tanto male
male da essere capita,
male da non poter più essere ferita.
Male da poter essere qualcuno
nel bosco nero dell’ ipocrisia
finalmente 

qualcuno.

 

 

Valentina Neri è scrittrice, poetessa e sceneggiatrice cagliaritana. Laureata in Storia dell'Arte, lavora da vent'anni nel sociale ed è presidente dell'Associazione culturale "Il Grimorio delle Arti" che si occupa di promuovere l'arte in tutte le sue forme con un occhio di riguardo per la poesia contemporanea. Ha pubblicato il romanzo 2Le donne di Baltthus” (Arkadia 2013) e in poesia “Voli inversi” (Arkadia 2015) con prefazione di Davide Rondoni e “Folliame” (Ed. La Vita Felice 2016) con prefazione di Claudio Damiani.

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