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28 LA MEMORIA DEL DOLORE DI MARIA LAURA VALENTE.JPG

Introduzione di Sonia Caporossi a La memoria del dolore di Maria Laura Valente

 

Collezione di quaderni di poesia “Le gemme” n. 28 anno 2022 (Ed. Progetto Cultura)  

 

ISBN 978 88 3356 

 

Se scrivere è, con Blanchot, una “tremenda responsabilità”, de-scrivere il dolore è un salto estetico nel vuoto, laddove circo-scriverne semioticamente, ovvero per impronte sensoriali, la natura naturans come sentimento in continua mutazione assume le forme di un’elaborazione del vuoto stesso, attraverso un progressivo riempimento di senso: suprema responsabilità verso se stessi. Tale riempimento passa per la concrezione dolente della ferita, che trasuda il siero vischioso ma non più invischiante prodotto da una quantità variabile di globuli bianchi di memoria in degenerazione, ricordi, flash e squarci psichici come batteri già morti o agonizzanti, destinati non all’oblio, ma a lasciare il segno indelebile della cicatrice sul corpo offeso, come monito presente e futuro. Per Maria Laura Valente, infatti, il dolore non va rimosso o accantonato nel più oscuro recesso dell’anima, va bensì fronteggiato, ricostruito fino alle estreme conseguenze del deja-vu e del ridivenire-in-atto, come una sequenza di fotogrammi di vita vissuta che tornano alla presenzialità mnemonica solo cambiati di segno e quindi, inevitabilmente, mutati di senso, col senno di poi. 

Il dolore d’amore, in particolar modo, assume valore esemplare in quanto cardine esperienziale che consente all’esistenza di darsi compiutamente all’aisthesis, fornendo l’intera gamma, in climax ascendente, delle pulsioni, delle emozioni e dei sentimenti (le quali, con Galimberti, non sono altro che emozioni ormai comprese, razionalizzate e, quindi, conosciute). Una tale presa di coscienza può avvenire, beninteso, solo a patto che non permangano infingimenti o autoindulgenze di sorta, nella consapevolezza che il sentire è pur sempre di natura eminentemente personale e soggettiva. A questo livello, conservare il dolore dentro di sé significa accudirlo, serbarlo come scrigno che contiene l’Opus Minus di ogni nostro fallimento, dotato fattivamente, proprio per ciò, di pregnanza empirica; significa, insomma, prendersene cura, fino alla piena e matura con-servazione, che può avvenire solo nell’atto della sua comunicazione in versi, come testimonianza, historia, lascito al mondo.

Nel rigore e nell’abnegazione che tale Bildung comporta interiormente, nella tensione catartica della sopravvivenza alla morte del cuore, la forma poetica prescelta detiene un ruolo fondamentale. L’utilizzo di una precisa struttura prosodica è, in questo senso, fondante: Maria Laura Valente mette in ordine il caos magmatico di una materia passionale che tende giocoforza alla sregolatezza tensiva attraverso il ritmo scandente di versi regolari utilizzati con funzione significante. In questo libro troviamo, quindi, endecasillabi, quinari, settenari, ottonari e ottonari doppi accanto a componimenti in versi liberi, intervallati dalla struttura normativa di testi che assumono solo formalmente la veste di haiku e che fungono contemporaneamente da stacco e rilassamento diastolico della tensione emotiva che precede ogni volta l’andamento sistolico dei componimenti in metrica, vere e proprie contrazioni del miocardio protese verso l’esposizione massima del sentimento, come accade propriamente nelle due fasi del battito del cuore.

Si tratta, come si diceva, di un sentimento che si fa ragione e radicale presa in carico del verumfactum della materia amorosa dopo il luttuoso momento del distacco, ovvero, in una parola, conoscenza, di sé e dell’altro-da-sé, nel disvelamento catartico privo di mascheramenti e ipocrisie che sola la poesia che dice io ancora consente: virtù precipua della modalità lirica a cui la poetessa, orgogliosamente e scientemente, si attiene.

 

Sonia Caporossi

 

*

io maledico l’anno il mese il giorno

il suono della sveglia che ha spezzato

un tempo onirico ignaro del tormento

 

sia maledetta l’ora e anche il minuto

il flettersi del corpo di parola

l’innesto approssimato degli sguardi

lo scudo abbandonato senza fuga

 

e poi stramaledico quell’istante

il subitaneo crollo delle mura

la luce inabissata nei tuoi occhi

il taglio vivo dei punti di sutura

 

 

*

è quasi mistico

il tempo dell’attesa

come la fame 

fatta estasi del ventre

lento rigetto

del farmaco perfetto

inoculato 

che torna poi veleno              

silenzio bianco

della parola assente

 

*

se provo a farmi verbo da annotare 

in chiosa al tuo distacco siderale

mi scopro deponente

paradigma difettivo

un congiuntivo

frustrazione d’ottativo

un conativo

aoristo debole e passivo

iterativo

asemantico ausiliare

irregolare

forse omesso o sottinteso

 

a ben guardare

resto frase nominale

 

 

Maria Laura Valente (Campobasso, 1976), docente e poetessa, ha pubblicato due raccolte poetiche (Giochi d’Aria, Rupe Mutevole Ed., 2010; Lustralia, LunaNera Ed., 2016) e due sillogi di poesia haiku (La carezza del vento, LunaNera Ed., 2018; Hatsuyume, La Ruota Ed., 2019, Premio Speciale della critica nell’VIII edizione del Premio Nazionale di Poesia l’Arte in Versi, Jesi, 2019). Redattrice per i lit-blog Versante Ripido e Cinquesettecinque,  è impegnata su un doppio fronte di ricerca e composizione poetica: haiku in lingua inglese e poesia lirica in lingua italiana. Attualmente, vive e lavora a Cesena.

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