Prefazione di Fabio Pierangeli a “Cieli di carta di Francesco Lioce e ricordo di Mina Welby
collezione quaderni di poesia Le gemme n. 29 anno 2022 (Ed. Progetto Cultura)
ISBN 978-88-3356-414-2
Poesia ridestami con un bacio. Il florilegio autunnale di Francesco Lioce
di Fabio Pierangeli
*
Se è sempre il tempo della guerra è anche sempre il tempo dell’amore. Non esiste battaglia che non armi, l’una di sangue e di fucili, l’altra di carezze e di pace, questa dialettica all’origine, come per Simone Weil, della nostra stessa civiltà occidentale.
Così in questi tetri giorni di conflitto, di altra barbarie, quella che stende a terra, sulle strisce pedonali un maestro di umanità e di dignità della parola e sul marciapiede un umile e devoto alla vita, irrompono le liriche di Francesco Lioce, recuperate da un passato non troppo recente per essere insieme attuali e inattuali in questa torrida estate del 2022, verso un autunno, per molti aspetti ancora più caldo. Per Lioce dopo il pieno della stagione estiva seguono mesi in cui muore una parte di sé stessi, ma con il profumo della rinascita almeno latente. Di questo solo si può vivere chiedendo alla poesia ridestami con un bacio:
Autunno
Nel tramonto, tra i ciliegi,
muore il giorno,
e insieme al giorno muore
una parte di me,
con il profumo delle rose
che appassiscono nell’aria.
Di questo solo io vivo.
In Cieli di carta la ragionevolezza e la passione fanno ancora dire ti amo, di fronte ad un tramonto, pur con una nostalgia in cui si leggono tutti i presente del mondo in quello che si percepisce come errore, inciampo della bellezza nell’ostile, nelle rivalità delle invidie. La sensualità naturale si fonde con una percezione anche essa ossimorica, quasi che un’ombra potesse sovrapporsi alla retina e donare non più esperienza concreta del bello, ma solo parvenze poetiche alla unione auspicata tra l’interiorità sensibile del poeta e il paesaggio circostante.
Sono gli abissi del secolo scorso a lasciare scorie, il riempirsi esaudito e veloce di ogni desiderio, magari soltanto attraverso una dimensione virtuale, il trascinamento nel fango di ogni valore. Si è persa la buona attesa, quello che serve al silenzio della lettura come esperienza primaria, della poesia che indica la strada, pur non promettendo facili verità.
Il poeta vuole tornare al mondo tattile, tangibile attraverso la finzione, cieli di carta appunto, e comporre inni alla compagna di una vita intera, sia pur ancora giovane, al vaglio del futuro.
Molto significativo il verso di Settembre che sembra sancire l’unione di due elementi della sensualità naturale: il desiderio è anche quello di un viaggio verso l’oltre, dentro quelle che appaiono visioni quotidiane, dove, invece, si inscrive la diade meraviglioso e familiare:
Ma desidero ancora sciogliermi
dove si scioglie quella nuvola libera:
mattino.
La libertà della nuvola viene intesa come un frazionarsi, delicato sciogliersi. Se l’identità frantuma, si protende fino a confondersi con l’oggetto dell’amore, sciogliersi vuol dire cambiare natura per ritrovarsi, in una metamorfosi assicurata dalle parvenze del sogno. Serve rinascere, anche se è impossibile cancellare il male:
La rosa non fu mai così bella,
poesia ridestami con un bacio…
Verso e baci convergono, nella più classica delle comunioni terrene che la poesia di ogni tempo sancisce. Lioce, poeta colto, saggista di valore, raffina al fuoco della chiarezza citazioni criptiche, certa sua tendenza precedente ad atmosfere rarefatte e velate per condensare qui un distillato pregiato di versi di immediata lettura e insieme ricercati.
In cui non manca il riferimento ad una esperienza capitale: la vicinanza a Piergiorgio Welby e alla moglie Mina a cui si dedicano due tra le poesie più belle di questo florilegio, perché l’amore è anche questa suprema dignità, il dolore della fine vita, il dovere di non mancare all’appuntamento accompagnando la persona amata nel modo più giusto che la coscienza personale individua, nel rispetto dell’altro.
Cosa allora si può trasmettere alla persona che si ama, consapevoli delle molte primavere, delle nostalgie e dei colori, della inevitabilità dei tramonti?
Una delle parole ricorrenti, anche nelle ultime tre composizioni è sogno. Certamente il sogno della poesia che accosta la bellezza a fronte della vita che svanisce. Il quadro della dialettica è molto chiaro nei versi finali e la poesia invita ad una saggia accettazione, siamo un sogno dentro un altro sogno, piuttosto che ad una impotente, cieca ribellione foriera di violenza e di guerra, quanto la prima di amore.
È quasi sera
e già sogno:
ruscello, velo
della terra,
in te rifletti
l’ondeggiare del cielo.
Silenzi spenti
dentro gli occhi,
echi perduti
le cadenze nel cuore:
è quasi sera
e già sogno…
Il discepolo e il maestro
ricordo di Mina Welby
Ripenso ai lunghi pomeriggi dove Piero e il giovane studente liceale Francesco, chiacchieravano. Era venuto con i genitori da Caltanissetta a Roma per le vacanze.
Ricordo Francesco e Piergiorgio disquisire su espressioni poetiche dei grandi letterati italiani che Francesco studiava e leggeva al liceo. Loro due erano per me il discepolo e il maestro per eccellenza, un duo di domande e risposte, di scoperte e messa in guardia, di violinista e contrabbasso.
Sfoglio i versi di Francesco ragazzo che ricordano la metà degli anni Novanta del secolo scorso. Poesie nate, vissute di sogni come nuvole fatiscenti nei tramonti della sua Sicilia, del suo mondo. Sono i suoi primi passi da cantore dell’amore, della nostalgia, note di grazia e bellezza, sogni effimeri e solitari nella natura. Un bacio tenero fanciullesco diventa già ricordo vivo.
Ascoltandoli con discrezione ebbi spesso l’impressione come se Piergiorgio lo volesse liberare da qualcosa che non capivo. Ma presto cominciai a sentire battute ironiche per alleggerire il rigore di Francesco con se stesso. Non so se anche al suo discepolo Piergiorgio abbia mai detto non prenderti troppo sul serio. Il loro rapporto è diventato un’amicizia profonda, quasi una responsabilità reciproca che sento perdurare ancora.
*
Quelle sere di maggio,
affacciato alla finestra,
ero un sognatore:
nessun pensiero, nessuna parola,
ma la notte scivolava in fondo al cuore
e in cielo le stelle diventavano
un miraggio d’amore.
Ti amo come l’immagine…
Ti amo come l’immagine dei tramonti,
vago fiore di tristezza,
vascello per il mare taciturno;
ti amo come l’immagine dei tramonti,
ombra corrente per i tristi firmamenti,
pianto che inondi
felicemente le mie notti.
Reveries d’un promeneur solitaire
Nel cielo gli astri brillano, lontani,
e tu diventi nell’aria immobile
la triste incarnazione dei miei sogni vani.
Questa notte, come un cane randagio,
conterò solo i miei passi lungo i viali…
Statua d’acqua
Nell’infinita dolcezza delle tue mani,
cariatide notturna dei miei immobili cieli,
tu, sogno astrale, sedevi sui divani
nella mite nudità ricoperta da vergini asfodeli.
Per te non proferivo nessuna parola,
per te, nello specchio dei miei occhi, stella assente;
tu che diventavi nei crepuscoli il molle profumo di viola,
col tuo lascivo languore nella mia anima ancor presente.
Parvenze poetiche
Tra la solitudine di vecchi pini
case abbandonate
ai fichi e alle rose selvatiche
fioriscono di malinconia.
A sera volano i gabbiani
sulle libere distese del mare
e all’orizzonte le vele sembrano
sfiorare l’infinito.
Velum amoris
Com’era nuovo il cielo
nelle immagini soffuse del tramonto,
quando i gelsomini morivano nel nulla,
frammenti sospesi sull’orlo
del tuo tetto lontano.
Ritratto di sogni
Non posso ricordare quei momenti,
quando priva di veli,
sul fare della sera,
diventavi la forma dei sentieri
e tra i rami dei pioppi,
perduti in solitudine,
sulla bocca ti baciava la primavera,
velandoti gli occhi d’amore.
E io pensieroso in dolci frammenti
di dolore…
Francesco Lioce ha pubblicato La nera fedeltà dell’ombra (menzione speciale per l’opera prima al Premio Alfonso Gatto 2013) e La solitudine di Giuda (Saya, 2017). Tra i fondatori di línfera (2006-2011), ha curato Ocean Terminal (Castelvecchi, 2009), il romanzo postumo di Piergiorgio Welby da cui è tratto il monologo teatrale diretto e interpretato da Emanuele Vezzoli.