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"Il senso che mi fa parola" di Valentina Perucca (Eretica edizioni 2018)

Per la rubrica Letture condivise presento oggi una giovane poetessa alla sua seconda pubblicazione: Valentina Perucca, Il senso che mi fa la parola, Eretica Edizioni  2018.



Valentina Perucca, l’autrice, è una giovane torinese con laurea magistrale in Antropologia culturale ed etnologia che, innamorata di cultura orientale e di poesia occidentale, da sola vive e si mantiene al mondo occupandosi da libera professionista di benessere psicofisico, di trattamenti ayurvedici e medicamenti orientali.

La silloge, di cui vi do l’assaggio con quattro brevi testi, è una raccolta veramente contemporanea, di notevole carica innovativa nel panorama della poesia attuale.


 


Araba

Sono araba,


italiana periferica


sono spagnola estranea


a me stessa, centro


di tutti gli altri


per questo sono inglese


lingua franca usurpata


sono di mondo


sono di confine, francese.


Sono araba, ancora soltanto


araba che attende di farsi fenice.


 


*

Pane di poesia


Se la fame nel mio mondo


fosse folle come brama di


sapere o la voglia di ballare,


se fossi io capace di stare in me


non so, non sto,


andrei intera in incandescenza


con briciole di poesia


agli angoli della strada, della bocca


del mio fratello più famelico


per ricucirgli la mancanza.



In una maniera che fluissero


almeno equamente tra il nulla


dello stomaco e lo strale del cuore


 


ingorghi di parole che vincessero

la fame, spezzando al muto,


con il silenzio, il pane.


 


*

Gli anni in corpo


Mi piega la vita, mi


costa come quando picchio


il chiodo al muro


e mi scosto a rivedere


la foto.


Quei sorrisi sono tanto


antichi che sorrido anch'io


e mi chiedo chi sia


quella composizione di


persone incolta.


Quanto grigio mi è scappato


di mano per andare tutto


sulla cornice.


Picchio ancora il chiodo


ed il dolore si fa vivo


e greve.


Non scorre sangue,


se non in immagini.


 


Da lontano siamo bellezza

imponente. Ho preso tutti quei nostri


anni in corpo: sono dilatazione infinita.



*

Erano le colline


Sono ritratti facili a immaginarsi


oggi su queste colline


irrigate di un colore fresco


se le vene implodono


che si perdono dentro


e non le sento più fino a trovarle


disegnate sui lembi della distesa


di quando stavamo



lì tutti raggruppati di baci e sogni

stropicciandoci gli occhi con le idee


sdraiandoci più del consentito


con arti scricchiolati


e piedi nudi come in vendemmia.



Il tuo profilo

sommato a quel profilo di collina


il tuo po' di pallore dolce


stemperato sui cromatismi d'autunno


il sale di quella lingua


ad aggiustarmi la ferita


mi lasciano ora come fosse in quell'epoca,


sconfitta la parola.


 


La realtà di Valentina è quella del Duemila: la conosciamo e la viviamo tutti di questi tempi, è una realtà sociopolitica ibrida, contradditoria - lo sperimentiamo quotidianamente - avida ed amara, dove cosmopolitismo e razzismo convivono (nella poesia Araba l’autrice, in chiave soggettiva, si sente creatura del mondo, cittadina di una società aperta alle influenze sane di ogni possibile tradizione o cultura). Cantando la realtà di oggi Valentina ci parla di un mondo dove i rapporti interpersonali, in particolare quelli tra uomo e donna, si snodano tra situazioni e sentimenti contrastanti, ambivalenti, talora poco classificabili con la parola “amore” tradizionalmente intesa. Sono rapporti intensi, di violenta, oscura, passionalità, che vanno, si sciolgono, rinascono, si perdono, talora senza apparenti motivazioni, così come forse per impeto momentaneo sono nati eppure lasciano un segno profondo, dolce-amaro, quello di un ricordo, un rimpianto, un senso di sconfitta, di inadeguatezza di lui, di lei, di tutti e due.

Sono storie tutte psicologiche, sono storie di anime ferite, non raccontate nei fatti se non per cenni, qualche intenso, ma sparuto, particolare. I luoghi, la natura, restano puri sfondi di momenti dell’anima.

La poesia di Valentina procede a sprazzi, per bagliori sentimentali repentini: non è narrativa, è intuitiva. Intuiamo infatti a malapena le vicende perché l’autrice non ci dà gli strumenti per capire, con lo sviluppo di un racconto logico, lo svolgimento dei fatti. Sarebbe impossibile, credo, fare l’esercizio scolastico del riassunto per i testi di Valentina. Il pensiero farraginoso, complesso si rivela e si snoda in una espressione poetica, metaforica, immaginifica, propria dei sogni o degli incubi e in un suo linguaggio astruso, tormentato, talora addirittura al limite della liceità sintattica. Una forma espositiva strana, personalissima ma di rara efficacia. Lei ci offre frasi di bellezza lancinante e strana, con difficile accostamento di termini, grammaticalmente ardita, talora forse nemmeno del tutto accettabile secondo i canoni tradizionali. Ma non importa perché arrivano al cuore questo dire spezzettato, queste figure frantumate eccezionalmente efficaci e poetiche. Il racconto, se non è chiaro, lo riempiamo noi con le nostre storie, le nostre nostalgie, i nostri fallimenti. Capiamo benissimo che Valentina parla con pochi cenni astratti delle storie concrete di tutti. Volete degli esempi?


Sugli anni che lasciano un cimitero di  delusioni dice:

            Ho preso tutti quei nostri


            anni in corpo: sono dilatazione infinita


 


Sul suo anelito all’Arte e alla bellezza scrive, in Pane di poesia:


            Se fossi io capace di stare in me


            come non so, non sto


            andrei intera in incandescenza


            con briciole di poesia


            agli angoli della strada…


 


Da Erano le colline:


            … sui lembi della distesa


            di quando stavamo


            lì tutti raggruppati di baci e sogni


            stropicciandoci gli occhi con le idee


            sdraiandoci più del consentito


            con arti scricchiolati


           e piedi nudi come in vendemmia


 


Vedete che modo personale, particolare, di esprimersi, che accostamenti inconsueti siano creati dalla poetessa. A volte sono disorientanti per chi legge perché vanno al di là dell’uso strettamente logico dei termini, del loro significato letterale, tra virgolette “normale”. Ma la poesia deve necessariamente corrispondere alle regole della logica, dei procedimenti conoscitivi razionali? Bisogna essere messi in grado di comprendere frase per frase, immagine per immagine, per trovarne la logica intrinseca?

O non è importante intuirne il senso ultimo attraverso moti interiori, grazie a strumenti e mezzi diversi, comunque legati alla sfera dell’irrazionale, dell’inconscio, forse? Non è importante che su questo piano intimo Valentina Perucca, da psiche a psiche, sappia condividere ed emozionare e, proprio tramite queste emozioni intense, noi riusciamo a ritrovare noi stessi, le nostre anime fragili?


Valentina, nella complessità del suo pensiero illineare, nell’esposizione formale così distinguibile nella sua singolarità, colpisce come un pugno e lascia un ematoma indelebile dentro e a lungo visibile fuori. Ma è un livido che permette di fare i conti con le situazioni, di prendersi cura di sé, di medicarsi pur senza dimenticare, ed alla fine di guarire perché la consapevolezza della nostra fragilità  è il punto d’avvio per costruire la completezza razionale ed emotiva della nostra personalità, senza soccombere dolorosamente ai nostri fantasmi personali, come pure alle diverse manifestazioni di disumanità e violenza presenti nella società dei nostri giorni.


Marvi Del Pozzo




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