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"Partenze e promesse. Presagi" (Puntoacapo editrice 2019) di Alfredo Rienzi

La poesia cui vi introduco oggi è complessa perché poli sfaccettata, con pluralità di chiavi di lettura. E’ intrisa di un suo percorso sfuggente e misterioso, tale da mettere talora in crisi il lettore che può restare inibito di fronte a testi troppospiazzanti, per riferimenti culturali che vanno dall’alchimia alla astrologia, dall’esoterico al sapere biblico, dalla filosofia orientale antica a scuole di pensiero attuali, dalla profonda conoscenza della letteratura italiana ai massimi poeti internazionali contemporanei, il tutto colto nell’essenzialità ed inglobato perfettamente nel sapere coerente dell’autore. È una sostanza che sgomenta. Sorprende un’intelligenza concorde tra mente, conoscenza e sentire, aggiungo io che conosco l’autore, frequentandolo in occasione di incontri tra poeti piemontesi. Come tutti i grandi, infatti, forse per l’umanità e la concretezza che gli provengono dalla sua professione di medico, è persona di rara modestia, di grande disponibilità verso gli altri in gentilezza e signorilità.

Perché mi soffermo su tali aspetti umani, che sembrano avere poco a che fare con la poesia?

È mia convinzione che, se per chi scrive la poesia è un valore sostanziale, essa diventa più che un habitat un modo di essere anzi, volere o no, la maniera privilegiata, autentica, con cui l’autore affina se stesso e si estrinseca al mondo secondo quei valori artistici ed estetici cui tende con le opere. La supponenza, lo sgomitare per farsi avanti, l’invidia per i successi poetici altrui non riguardano chi sa guardare oltre: sono sintomo di piccolezza umana ed evidenziano uno stato di insicurezza di sé. E’ proprio del bambino, immaturo, infatti avere bisogno di continue conferme e rassicurazioni esterne. Chi è sicuro di avere intrapreso la propria strada umana e poetica, che è quella e non un’altra, va avanti nel dubbio o, viceversa, realizzato in sé; se arrivano fama e successi tanto meglio, ma sono un accessorio che non cambia l’esistenza. Un po’ la differenza che c’è in filosofia tra sostanza e accidente: il Poeta cerca la sostanza, indipendentemente dagli accidenti.

Mi sono dilungata su questi aspetti umani che, secondo me, si riflettono nella scrittura di Rienzi, per farvi capire che le sue opere, astruse talora, ricche di addentellati complessi al punto da sembrare inarrivabili, hanno in sé un rigore intellettuale assoluto: ogni elemento, come in un puzzle, è necessario ed irrinunciabile per la completezza del quadro totale. Ma non c’è niente, neppure una parola, che sia accessoria e che non sia vera, sentita nel profondo, una volta depositata sul foglio. Nulla viene inserito in modo avventizio o per stupire o per rendere il testo più sapienziale.

Di Rienzi mi affascina il gioco degli opposti, sempre presente in lui, la verità che può emergere da armonie e disarmonie, tra luci ed ombre, proprio così come si snoda la vita, attraverso la sintesi di antinomie, sia nel mondo esterno, sia nel dipanare la nostra interiorità. La ricerca umana si svolge tra enigmi che restano tali e misteri che si aprono invece a rivelazioni fulminee. Bagliori dell’invisibile che squarciano a sprazzi gli affanni delle vite e ne caratterizzano le metamorfosi: non siamo mai gli stessi. Il medico sa quante cellule muoiono e quante ne nascono di nuove in noi ogni giorno.

Il titolo dell’ultimo libro già dice tutto quello che attende il lettore: Partenze e promesse. Presagi. La vita è un viaggio di ricerca. Siamo guidati da intuizioni in un ignoto di fondo, rivelato non su basi logico-conoscitive ma, per lo più, grazie a sprazzi discontinui carichi di presagi. Siamo tutti un po’ visionari, un po’ profeti, come quelli dell’Antico Testamento, voci che gridano nel deserto, ricercatori di verità sempre sibilline, sempre oscillanti tra opposti che si coniugano, tra pienezze e mancanze, sicurezze e relativismi.

E’ un libro che non si riesce a riassumere, ammesso che si possa in poesia, complesso anche nei titoli delle sezioni da cui è formato. Nulla è casuale nella sua architettura: un libro profetico, visionario, ermetico, eppure concreto, di enorme incantamento poetico, inserito in una struttura di ferro, direi, perché rigorosissima di una logica scientifica, quasi matematica. Mi viene da pensare che anche nella struttura formale del libro continui il gioco degli opposti: intellettualità e visioni. Come figura di artista ed intellettuale, se penso a Rienzi mi viene in mente la grande decompartimentazione del sapere tipica degli artisti dell’età dell’Umanesimo e del primo Rinascimento (l’età più fertile, più innovatrice, più magistrale della cultura italiana, l’unica il cui il sapere del nostro paese ha insegnato per primo al mondo. In tutti gli altri grandi movimenti culturali ed artistici: Romanticismo, Simbolismo, Decadentismo, Surrealismo, va detto, l’Italia è andata a rimorchio di altri paesi).

Per tornare a Rienzi, il suo è un libro che va letto in toto: è arduo anche operare una scelta di testi, è riduttiva e parziale. Io però, per un primo approccio, ho pensato di condurvi a poesie tra le più semplici, tutte d’una stessa sezione. Semplici solo in quanto trattano di una problematica umana che ci coinvolge tutti direttamente. La sezione ha un titolo profetico e drammatico: Conosco la data della mia morte, ma le poesie hanno in sé risvolti di pacata ironia, di bonomia, di tollerante umanità. Non sono affatto macabre e, forse, neanche tristi, solo classicamente elegiache nel loro realismo concreto. Anche qui il gioco degli opposti.



I.  Non l'ho scelta io

Non l'ho scelta io, la data della mia morte

mi è apparsa, non importa se in sogno

per bocca d'un sedicente profeta

o in algoritmi a multipla matrice.

Non l'ho scelta: me la sono trovata

di fronte - e neppure ricordo

se dettata dai codici dei tuoni o della grandine,

dal cerimonioso ronzare delle api

o connettendo linee tra i nei dell'avambraccio.

Però io ho scelto, a fondo soppesato

se accogliere l'offerta o no, se credere

o sputare sarcasmo sui quei segni.


Logica e ragione si dimenavano.


Poi ho deciso: si, va bene, è vero!

Quella sarà la data!


*


‘A

Non sia dissociato dalla realtà il sogno, la sua sintassi si

faccia onda, il decimale vesta i misteri - prima e dopo

la virgola - molto, molto dopo la virgola

la pietra e lo specchio sono sfuggiti di mano allo stesso dio, e

noi abbiamo ammonticchiato fedi di comodo per l'una

e per l'altro, e per ogni sciame d'insetti

ma il coraggio di respirare l'ossigeno dell'acqua non ci è stato

donato, il desiderio non ha conosciuto la pronuncia

che attendeva.

Per questo - anche per questo - non si separi il sogno dalla

realtà

le acque superiori restino con le inferiori, l'athanor abdichi al

suo sigillo e l'amnios disciolga il primo concepimento

della cenere.


*


II. verità (plurale maiuscolo)

Ho scelto: sì, va bene, è vero!

più vero di chissà quant'altre verità

che mi hanno accompagnato fino ad ora

nutrito, sostenuto, dirottato

tipo il PIL o i PIN e l'indice Dow Jones,

i t'amerò-nella-salute-e-nella-malattia, (persino in povertà…)

e le dichiarazioni ai sensi della norma

e i dogmi, e i crismi ed i carismi

e tutto quel che in brutta copia ho scritto

in settecentosettantatrè versi, che per necessità

qui sintetizzerei in: quasi tutto!


*


V. Il fatto è che ora conosco la data

Il fatto è che ora conosco la data

della mia morte, l'ho iniettata

bevuta, masticata, odorata

l'ho tatuata sullo sterno a croce

dall'alto in basso, da destra a sinistra

- essogramma chiaro e assoluto ‑

e voglio ne lampeggi la verità negli occhi

prima d'ogni amplesso e dopo

nel guizzo delle carni che risparmierà vecchiaia

nel fiato raro ai quattromila

e in quello ebbro delle tue risate

e voglio che la sentenza scritta

abbia a governatore il cuore

e mi conduca a sopportare sveglio

le cronache ingannevoli dei sogni

e l'ultima stagione solitaria.


*


VI. Testamento

Vi lascio il testamento:

è una pagina bianca

un messaggio silente

con solo il mio respiro

nessun diario, nessuna

oziosa biografia

due sole date a sbalzo

per dire della vita

che è stata: a poco serve

prepararsi guardando

le orme passeggere

tra l'arenile e l'onde:

potrebbe commozione

portare ingovernate

lacrime mai versate

di mastice e di colla

proprio nell'ora scelta

per sciogliere la corda.


*


è qui che sono sorto e inabissato, e ho dovuto cercare - come in un

deserto l'acqua - i nomi del visibile e del nascosto

del nascosto che ha difeso le sue tane anche nel cielo più vasto senza

nubi, nel roseto sfuggito alla selva, nel significare minimo del

tiepido toccare volti

è qui che si è compressa tutta la materia oscura che qualche sognatore

sveglio ha confezionato per il mio bang,

e dove la sua sognatrice ha cucito stracci per farne profezia, e tulle

azzurre e argento, i bordi neri

e non è stata qui e non è stata dove

la quieta apocalisse


*


VIII. Come i giochi belli

Il solo dubbio a te lo dico, madre:

che tu mi sopravviva è un falso augurio

so che sarai d'accordo

tu che hai creato vita

di quanto sia l'orrore a dar sepoltura ai figli


lo prendo io, tutto lo prendo io

il fuoco nero della tua partenza


ma lo saprai, ovunque viaggerai

(e lo so anch'io che guardo alla mia data

con tenerezza che altri non vogliono esplorare)

che il tempo è il nostro gioco prediletto

e durerà poco, come i giochi belli.



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