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Manuel De Freitas
"Poco allegretto"
(Il ramo e la foglia ed. 2021)


Traduzione e introduzione di Roberto Maggiani

 

… E la poesia, che non è mai riuscito a scrivere mio zio, era – ed è ancora – la vita. Non c’è altro.                                                      [Poco allegretto, pag. 183]

 

C’è un motivo per cui incomincio a parlare di Manuel De Freitas citando poche sue parole, in prosa, contenute nel libro di poesia Poco allegretto, Il ramo e la foglia edizioni 2021.  È contenuta in questo  breve pensiero l’essenza della sua poetica, almeno quella cifra che ho colto io leggendo, che mi è entrata dentro e che credo di avere condiviso, fino in fondo, al di là delle diversità geografiche, di età, di storia, di cultura tra noi. Un poeta è un poeta (la poesia c’è o non c’è) e trova le parole speciali che creano un clima, un’atmosfera di comprensione, soprattutto se chi lo legge ha una predisposizione d’animo alla poesia che va al fondo delle cose e supera le forme del personaggio ‘alternativo’ De Freitas, che immagino vivere spesso aspetti da bohemien, frequentare ambienti di bettole fumose e acri di vino, che ama descrivere situazioni con parole inequivocabili, forti, proprio per il gusto di dire pane al pane magari ‘scandalizzando’ i benpensanti, le anzianotte signore per bene, cui non capita di parlare di lui ma, anzi, scelgono proprio di farlo. La signora della fattispecie di oggi, che potrebbe essere la madre di questo autore portoghese cinquantenne, poeta, saggista, traduttore, editore, al di là di certe forme un po’ brutali arriva a enucleare ciò che lega Manuel a sé stessa e, quindi, ai lettori.

Apprezzo in primo luogo l’autenticità di un’anima in ricerca del vero della vita, cioè del senso del percorso umano di individui, tutti,  animali sociali che condividono storie, relazioni con altri in un flusso temporale incessante di incontri e di abbandoni, di poli positivi e negativi che si intersecano, si mescolano, si uniscono, si dividono. Vita e morte, infatti, sono strettamente legate anche nello svolgimento delle cose più banali, quotidiane. La vita è tensione attiva, è passione, godimento, fame di esperienza, ma è contemporaneamente pena, disagio, disgregazione di noi e delle persone fisiche intorno a noi, dei nostri incontri, dei nostri affetti, giorno dopo giorno. Panta rei. Tutto va oltre, nessuno di noi è lo stesso del giorno prima, non ci bagniamo mai nella stessa acqua. La morte ci accompagna e ci sgomenta: farsela amica non è così facile, guardarla negli occhi è arduo, se ci porta via parenti, amici, personaggi amati, stimati, persino gli amici poeti che, nella loro vitalità, pensavamo eterni, quasi come i loro versi.

 

La poesia di Freitas mi colpisce per l’ambivalenza della sua forza sanguigna, da ‘macho’ vitalista, da un lato, e la sensibilità intensa, umbratile, per la nostalgica ‘saudade’ portoghese dall’altro canto, così presente in certi testi. Il risultato globale è di grande fascino, di suggestione rara: è poesia che sa affondare diretta come un bisturi nell’anima del lettore, il quale non si emoziona soltanto, ma ritrova sé stesso nei versi, riflette, ragiona, forse si salva e trova la sua via, la sua  ragione di reagire alla pena e alla fatica di certi giorni del vivere.

 

La muy hermosa

Sii come loro. Arrivano al mattino

spendendo i pochi spiccioli, la vita. Si siedono

negli angoli bui della taverna e s'intrattengono

a giocare a biliardo o lanciando carte sudicie sopra

tavoli di legno accarezzati dagli anni.

 

Fingono di sorridere, accendono una sigaretta senza

che gl'importi della bellezza o delle troppe ferite. Più rilevanti

sono i piccoli drammi di strada, intrighi, morti e

disaccordi – o la gentilezza alticcia degli amici. Impara

l'umiltà di questi vecchi che col berretto adombrano

le rughe improvvise della faccia. Per così tanto abbandono

non hai bisogno di parole. I mendicanti e la grande confraternita

dell'alcol ti diranno il silenzio più giusto. Seppellisci

la solitudine nei marmi unti di banconi tristi

e scuri e dimentica il tuo vero nome, preferendogli

la serenità di un lento declino.

 

Bevi con loro, scopri il colore dei loro teneri sguardi

imprecanti, e di’ alle mani che non sono altro

che mani, al corpo che non è altro che corpo.

 

Trovo questo testo di grande spessore, di autorevole insegnamento umano, tra le righe di una descrizione di vita e di umanità che alla fine mi risulta più psicologica e interiore che letterale, nonostante le carte sudicie, i marmi unti di banconi tristi, i mendicanti e la grande confraternita dell’alcool. Le parole chiave evocano tutte buio, pena, oscurità dell’anima, comunque un lento declino.  È una poesia di ombra, appena rischiarata dalla verità dei versi finali, cinicamente ma lapalissianamente autentici: di’ alle mani che non sono altro che mani, al corpo che non è altro che corpo. Cioè, un nulla che decade e muore. Purtroppo. Il poeta riprende il tema in altra poesia, il cui verso finale ed è solo del corpo che si tratta ci richiama il primo testo che ho riportato qui.

 È l’osservazione rigorosa, spietata di un mondo oggi basato sull’apparire, non sulla sostanza dell’essere, reso artificiale come il corpo o il viso di chi rincorre la perduta giovinezza attraverso la chirurgia estetica ripetuta all’infinito. Questo per ingannare sé stessi e gli altri, al fine di non pensare al decadimento, ma illudersi che il sembrare equivalga all’essere e ci sia tempo per accumulare esperienze di falsi amori, di false varie vicende. I protagonisti di questa storia sono anime perse: le anestesie generali degenerate per forza in anestesia mentale. Si potenziano corpi senz’anima. Le persone vanno altrandosi, neologismo che rende l’idea. Una disumanità, che può portare a un mondo popolato di specie di robot e di intelligenze non libere, quasi artificiali, non può, grazie alla voce di un poeta, che farci rabbrividire di spavento ma anche ricondurci ad una sana razionalità.

 

Insufflabile, il corpo

L'ha detto con grande soddisfazione

di fronte alle telecamere dell'impudenza

quotidiana: aveva fatto circa una trentina

di chirurgie plastiche, descritte con perfezione,

quasi con disinvoltura. Sono ben visibili

e stanno con piacere

nel forzato arretramento della pelle

nell'ampia oscenità della bocca

allacciata a un sorriso perpetuo e inopportuno.

Rammendi grossolani della morte, subito dopo

dei trenta («dei trentatré», ha specificato).

 

Non ha parlato di estetica, né di altri

valori altrettanto vaghi e altisonanti

che pure circolano a volte

nei saloni di bellezza di un quartiere qualunque.

Il suo scopo era semplice, molto a fior

di pelle poco sua: «conoscere più uomini»,

occasioni falliche che godessero di lei

o dell'investimento. Essere amata, insomma,

che è questo quello per cui siamo tutti qui, felici

per distrazione, da quando la miseria si è fatta luce.

 

Si potrebbe pensare che così tante anestesie generali

siano degenerate per forza in anestesia mentale

(aveva l'espressione corretta, gli occhi lordi

e spopolati come una domenica a Lisbona).

Si potrebbero pensare molte cose – o che non fosse suo,

a prezzo insondabile, il più grande sorriso del mondo.

 

Si potrebbe dedicarle questa poesia

– televisiva e senza alcuna grazia –

come un inserto che le mancasse da unire

a tutti gli altri in cui è andata altrandosi.

 

Ma una poesia, pure che sia insufflabile,

non ha mai salvato nessuno dal proprio corpo.

Ed è solo del corpo che si tratta.

 

Ancora una poesia sulla stessa tematica del pessimismo di un vivere evitando l’impegno. Qui il poeta fa la conta delle piccole cose banali, minimali, anche le infime (i mozziconi delle sigarette di ieri, lo sciacquone…): la fine ti coglie di soppiatto, ma non ti nobilita.

 

Arte domestica

Non cercare di capire per

quale motivo un corpo triste

è un pleonasmo enorme. Distenditi

all’ombra dei versi

come se le città fossero perdonabili,

come se ci fosse un nome,

quel nome fosse tuo

e risplendesse in una tenebra sonora.

 

Svuota i posacenere con prudenza

prima del sonno non ti rispondere

e convoca il silenzio possibile,

mentre in un televisore vicino

la guerra si rinvia e gli occhi intiepidiscono.

Puoi sempre fingere di non vedere

né sentire il cielo solcato di malessere,

le grida mortali dei bambini.

 

Un giorno della vita, affittato, malgrado

l'orologio della vicina,

sempre così certo, e lo sciacquone

che gocciola, pure certo,

a dirti una qualsiasi cosa nulla

che butti via insieme alle sigarette di ieri.

Hai tempo per il tuo testamento,

quest'ultima poesia senza destinatario

(e non chiederti che cosa farà lo Stato

con tanto Bach e famiglia,

perché in quel momento sarai

finalmente sordo). Rallegrati

con il vento inerte di giugno, ti saluta  

tra l'abbaiare di cani lontani.

 

E, soprattutto, non cercare mai di sapere.

 

Propongo due altre poesie: una scelta perché da Arte può nascere arte, dall’emozione di una forma elevata di musica può originare la bellezza di una poesia, l’altra perché la magnificenza infinita dell’Oceano portoghese, la gioia di spiagge, di vento, di sole, possono destare non solo immensa smaniosa ansia di vitalità ma, viceversa, l’immenso può aprirci allo sgomento del senso del caduco e della perdita irreparabile. Fatalità di un percorso senza uscita. Morte anche degli affetti.

 

Milva / Astor Piazzolla, 1984

«Abbracciami con forza,

ora che sto per morire» - non

era proprio così, in italiano,

quando ha deciso di inginocchiarsi

al Théâtre des Bouffes du Nord.

Ma è quello che mi sento di dire di quella notte,

 

di quella notte «antica come il tempo»

che ha viaggiato in un nastro

in catapecchie demolite

e ha sofferto amputazioni

a causa di uno spinello

o di qualcuno che non ho mai visto,

 

fino a che arrivasse a me,

non meno casualmente.

Molti anni dopo,

ho trovato il disco e mi ha spaventato

la perfezione, la certezza

di avere vinto tutto quello che ho perso.

 

*

Barreirinha

            Spiaggia di Funchal, Madeira

 

Improvvisamente, padre, tra

il silenzio di due onde,

abbiamo sentito l'unica domanda:

 

quante volte

ancora nuoteremo insieme?

 

Mi piace terminare queste mie annotazioni con un brano in prosa dell’autore, inserito nel libro. Credo che molti di noi possano ritrovarsi, sostituendo ovviamente situazioni personali e contenuti diversi delle memorie. Penso che questa elegiaca nostalgia, questa saudade portoghese, possa pacificare tutti noi con noi stessi e con altri, ci aiuti a fare i conti col nostro presente, col nostro passato. Insomma, possa farci un gran bene.

 

Difesa fitosanitaria

La cocciniglia si fissa anche sui peduncoli; dove può evolversi e dare origine a nuove larve.                                                                                                     Abel de Freitas

 

Separo e metto in ordine i tuoi libri, padre; quasi tutti sul Quadraspidiotus perniciosus, il Panonychus ulmi, il Saissetia oleae – e i suoi effetti nefasti sugli alberi da frutto che hai osservato per diversi decenni. E penso, mentre divido per titoli e anni le tue sobrie «plaquete», che ti sei dedicato a temi molto più nobili dei «miei». Tuttavia, è stato da te che ho ereditato il rispetto per la punteggiatura, il gusto per la parola esatta, la volontà di dire solo ciò che è strettamente necessario.

A volte – io ero un bambino –, mi leggevi una frase o un'altra, chiedendo se l'aggettivo mi sembrasse appropriato, se quella virgola fosse davvero necessaria. Mi insegnavi, senza che io lo potessi nemmeno presentire, quest’altra arte, non meno ardua ma di dubbia utilità, che chiamiamo poesia.

*

Un giorno, lo so bene, qualcuno si incaricherà di separare e mettere in ordine i miei libri, se avrà abbastanza pietà da non buttarli nella spazzatura. La differenza è che non sarà mio figlio, né tenterà d'ingannare le lacrime – o l'insopportabile rimorso di sopravvivere (a te) – con parole tanto inutili come queste.

 

                                                                       Marvi del Pozzo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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