I ricordi dovuti di Antonietta Gnerre
Introduzione di Davide Rondoni a I ricordi dovuti di Antonietta Gnerre
Collezione di quaderni di poesia “Le gemme” n. 14 anno 2015 (Ed. Progetto Cultura)
ISBN 978 88 6092-728-6
La poesia della Gnerre è una voce tra gli alberi. Appartiene a quel livello della natura umana che riguarda il sacro, l’amore fondamentale, la memoria.
“I milioni di anni che vivono dentro la mia mente,
quando si stancano di stare da soli,
diventano il mio disastro.”
La sua voce, trasfigurando vicende personali e luoghi precisi a cui si riferisce, rappresenta un punto di vista e di visione sulla vita. E sul destino. Il corpo, in scena molte volte, è uno degli elementi di contatto con il destino. Con una partecipazione del cosmo attraverso il corpo.
“La profondità̀ la misuravo appena smetteva di piovere.
Le tracce dei miei pensieri sembravano orme giganti.
Mi fermavo nel giallo ricolmo di orizzonti.
Tutto era perfetto. E le spighe tracciavano le mie spalle
con fili d’erba che conoscevo solo io.”
Tale partecipazione avviene grazie alla voce poetica che porta e forma la persona che la ospita come una offerta e un dono, al pari di come gli alberi sono traversati e offrono la vita. Non a caso è un libretto pieno di alberi: pioppi, meli, e poi il glicine etc. E per esprimere uno dei momenti di maggiore intensità̀ poetica, viene usata questa espressione: “Il ramo più alto della mia immaginazione”. E il mattino è segnato dalle parole: “Mi sveglio tra tutte le piante”.
In questa anima arborea c’è indubbiamente il segno della radicale appartenenza della poetessa a una zona selvosa, a terre che, in quel ventre dolce e duro d’Italia da cui proviene, sono abitate da grandi boschi e da presenze quasi prodigiose d’alberi. Ma non credo vada dimenticata la formazione letteraria teologica della poetessa che, seppure qui non affronta direttamente questioni interne alla questione religiosa, affina il suo respiro su una lunghezza d’onda, e su un terreno che confina tra poesia e sacro, quella zona in cui, da Omero a Virgilio, da Eliot a esperienze recenti anche ita- liane (penso alla Copioli o, con altra dimensione a Pier- santi) l’albero è segno e protagonista.
Ne viene un libro che per quanto esiguo ha una forza compiuta. Non solo con testi e singoli versi di grande abbandono, dominati da un sentimento del tempo malinconico ma pieno di chiarori (“Morire guardando i morti prima dell’alta marea”) e anche laddove sembra cercare le vie più facili di una certa dicibilità̀ oratoria e di una poesia senza musica, senza tessitura ritmica, mantiene sempre un alto decoro. Non a caso si trova qui un omaggio a Maria Luisa Spaziani, poetessa del più alto decoro della recente tradizione nostra. Ma la Gnerre anche quando tende a offrirsi in dizioni così polite, levigate e tèrse, ha poi un altro movimento, una necessità di essere selva, alberi, un controtempo di selvaggio, di primario. Non a caso qui si parla di “Custodia”, di “parti di sé seppellite”. E non perché́ contino risvolti biografici malcelati o censure, ma tutto - le cose visibili e invisibili - è materia vivente. O per dirla con la parola che forse riassume questo libro tutto è “creatura”.
Davide Rondoni
*
Il tempo divide i miei anni in traiettorie.
Già sono in movimento nella nuova stagione.
Tra le tante parti di me che ho seppellito.
Chiamo dal mio stesso corpo la bambina che sono stata.
Per vedere quello che avrei voluto essere. Un’altra donna
uguale e diversa da tutte le donne che sono nate.
Diversa da me. Sono nella vita, eppure nella vita muoio
trattenendo le foglie dei miei ricordi.
Muoio guardando i morti nel sonno,
nel tempo prima dell’alta marea.
*
Il colore di questo istante
mi copre dal freddo di febbraio
che gocciola dai rami, dai gesti
da una virgola.
Questo istante che è agile.
Perfetto nell’addio
tra il vento che segna le date
in segno di connivenza e di pentimento.
In questo abitare l’istante
non scelgo bene né male:
palpo, concepisco
in carta sottile,
il mondo.
*
I ricordi ci guardano,
se ne stanno là, vedi, a pregare.
Ci aspettano nel fuoco delle emozioni con lentezza,
sapendo che questo nostro presente
è più̀ grande, a volte.
Vivono negli specchi, sulle lenzuola, ovunque.
Crescono di notte bisbigliando fra loro,
sospesi sul soffitto da un batticuore.
*
Di tutti i colori amo il verde,
l’immaginazione della sua andatura.
La base quando contiene ciò che rimane,
la forma che sfila collane di acqua.
Dove trovo il verde
il tempo delle cose si ripete.
Si ripete da lontano fino all’inizio dei rami
nel gioco dell’istante.
Dal verde tutto emerge e tutto muta
nel miracolo di un nuovo germoglio.
Antonietta Gnerre è giornalista e poetessa e si occupa in particolare della poesia religiosa e spirituale del Novecento. Oltre ad alcuni saggi, ha pubblicato in poesia: Il Silenzio della Luna, Anime di Foglie, Fiori di Vetro - Restauri di Solitudine, Salici di Seta - Il viaggio del Silenzio nei Poeti irpini, Preghiere di una Poetessa, Ultimo sogno - Pianeta Terra, PigmenTi, Come un Albero di Gòfer, Strada Statale Ofantina Bis. È presente in numerosi blog letterari e riviste on line, con interviste e contributi critici a poeti e scrittori. Collabora con la rivista letteraria “Gradiva” e dal 2007 è Presidente del “Premio Prata”.