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L’Orlanda disillusa di Marco Lischi



Introduzione di Alice Rugai a L’Orlanda disillusa di Marco Lischi

 

Collezione di quaderni di poesia “Le gemme” n. 10 anno 2013 (Ed. Progetto Cultura)  

 

ISBN 978 88 6092-569-5

 

Si dice che la cavalleria è morta. I giovani d’oggi non sono più̀ quelli di una volta, e al verbo cavalcare asso- ciano subito un’accezione ben diversa da quella del- l’equitazione. Non si va più in cerca di cavalli, e ci si imbatte, per caso, in qualche donzella. Ora si va a “beccare”, ora ci sono gli uccelli, non la cavalleria. Non sempre hanno però buon esito queste spedizioni, e queste migrazioni in cerca di un nido caldo spesso sono sottoposte alla stessa crudele trappola dell’eterogenesi dei fini: così, nel tentativo di un abbordaggio estremo, il nostro rapace con un “Me la dai?” non trova un nido, ma una compagna di rime. Perché́ forse è vero che non ci sono più le mezze stagioni, non c’è più̀ religione, Dio è morto, ma l’amor cortese sopravvive nelle rime antiche. Quindi perché́ non mischiare la forma, l’esteriorità̀, le costruzioni dei poeti che tanto ci fanno penare nelle scuole, con le loro vicende da “peggio sfigati”, con una storia attuale, moderna e decisamente senza censure? Le liceali di oggi non sono più angeli di divina beltate, e gli occhi ardiscon di guardare tranquillamente i jeans attillati; Orlanda è proprio brutta, per quanto sia imprigionata negli endecasillabi. E mentre la fanciulla si la- menta, dicendo:

 

« Io voglio amor cortese! ...pria del sesso»

il nostro pellegrino in cerca di un letto non riesce a pensare ad altro (ci siamo intesi):

«Ho un tale ardor, che più non lo trattengo; sovente accade al maschio, nella vita...»

 

Perché́ in fondo è sempre stato così, ma nel Trecento era meglio cristallizzare il tutto, o no? Veramente Or- landa è una candida creatura e Felice il terribile cattivo gotico, che vuole zappare la sua terra di ottocentesca verginità̀? Veramente Leopardi non si mantrugiava con furore nei veroni del paterno ostello? Veramente l’amore sacro e l’amor profano non sfilerebbero mai assieme in processione?

Queste le riflessioni che vengono fuori da questa opera, che sembra cercare di vendicare generazioni di studenti, che si possono divertire alla ricerca delle numerose citazioni, decontestualizzate e mischiate in in- fime situazioni e metafore forse troppo spinte per un manuale scolastico. Un’opera da ridere, in rima, che non fa altro che riproporre un tema immortale in chiave moderna e “bimbominkiosa”(mi permetta l’autore di uti- lizzare questo termine), con un uso della metrica degno delle migliori accademie. Riuscirà il nostro Felice a esaudire il suo nome? Si concederà̀ la nostra Orlanda, così piena di illusioni? Il titolo pare già̀ rispondere alla fatidica domanda, ma meglio non “spoilerare” altro e continuare la lettura.

 

Intro

 

Mi viene qualche volta la paura

che qualcuno fraintenda quel che scrivo; 

sarebbe una tremenda fregatura

se un mio lettore, d’umorismo privo,

 

chiedesse una poesia più casta e pura. 

A questo mio timore sopravvivo,

ma non sopporterei tale censura.

Ieri l’altro un progetto concepivo,

 

quaggiù̀ ne leggerete i risultati.

Magari penserete che mi sono

spinto un po’ troppo in là, col mio lavoro;

 

se è vero, ho scritto qualcosa di buono: 

questi miei versi qui sono incentrati 

sul mutamento della merda in oro.

 

Felice (I)

 

Son Felice Di Gioia, son studente

del Classico, e son l’uomo più infelice 

del mondo, come è spesso questa gente. 

Petrarca Laura amò, Dante Beatrice,

 

ma la loro poesia si contraddice

in un modo che mi è molto evidente; 

le donne fanno quel che a lor s’addice 

(non li cagano): è controproducente.

 

Perciò tentai un approccio più fattibile, 

che mi causò trecentomila guai,

vale a dire una semplice domanda;

 

chiesi all’allora sconosciuta Orlanda: 

“Ehilà, come ti chiami? ...me la dai?”. 

Morsi un frutto, però, non commestibile...

 

Orlanda (II)

 

«A cagion d’una tal naturalezza,

io quasi m’addoloro, amico schietto, 

nel dirti che al venire con te a letto 

preferirei morir sanza salvezza.

 

S’io sono ingiusta e, deh, tu non se’ retto: 

non ammetti la tua somma bruttezza,

e pretendi d’avere la scaltrezza

per lusingarmi... Tu non hai rispetto!

 

Risposta breve a una breve domanda:

“Io non te la darò̀, morissi adesso!

Il mio nome, comunque, è Picchi Orlanda”.

 

Sonetto, va’ da lui come mio messo,

ché la risposta nell’aere si spanda:

“Io voglio amor cortese! ...pria del sesso”.»

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