Modernità d’amore di Pietro Secchi
Prefazione di Marzia Spinelli a Modernità d’amore di Pietro Secchi
Collezione di quaderni di poesia “Le gemme” n. 2 anno 2011 (Ed. Progetto Cultura)
ISBN 978 88 6092-388-2
Da Leopardi a Pessoa di Marzia Spinelli
Prima o poi il poeta fa i conti con il filosofo che è in lui; ciò vale per tutti se è vero che poesia e pensiero si compenetrano. Per Pietro Secchi era più che un passaggio obbligato, quasi una fisiologica necessità dato l’humus, solidissimo, di studi filosofici. L’occasione, che non ha nulla di casuale, forse in gestazione e in attesa da tempo, arriva con questa quarta raccolta. “Modernità d’amore” è una stanza nuda, bianca e grigia, spoglia di arredi che nel corso della lettura si trasforma in spiaggia, costellazione, prigione, strana agorà di solitudine dove le due identità, antagoniste e complici, tirano le somme, specchiandosi e interagendo con quattro illustri Convitati, per rivestire di carne e di paura le statue di carta che hanno inaugurato la modernità filosofica: Galilei, Campanella, Descartes e Pascal. La modernità è quella della Storia e quella individuale, è il postumo di un dolore che viene da un abbandono, come suggerisce Pietro nella sua nota introduttiva: forse, dietro ad ogni filosofia c’è una storia d’amore e d’abbandono. È la modernità dei morti - le statue, la tradizione… - e quella dei vivi – noi, più o meno consapevoli di essere ormai oltre la modernità. Sullo sfondo sta la sfida vera, illusione dell’incontro e disillusione, tra ragione e cuore, tra pensiero indomito, virile, e desiderio, intimismo lunare, tra ingegno e smarrimento, dove tutti e quattro (ma non solo loro) gli illustri evocati vanno a sbattere la testa. Li accomuna, per vie diverse e traverse, la Fede e la Santa Inquisizione. Così, in questo ampio, poetico e storico percorso d’amore e modernità, si fa sentire il poeta laico e il poeta fanciullo, desejado di oggi e di sempre, che mescola la propria voce a quella di Galileo: “Qualcuno ha paura di me./E io sono solo/un uomo che trema./Galileo di fronte alle stelle mute”., e a lui si rivolge, come poi agli altri, sempre a chiusura di sezione: “Canti ancora, Galileo,/sulle lenti nere/la morte delle forme …”/. Poi tocca a Campanella, forse il più affine: “ Sono il desejado eterno./L’angolo oscuro/della clessidra,/il tepore del mare/al riparo dagli occhi.”; “Sei l’uomo dell’oro/nell’alba dell’acciaio,/ Tommaso.Sei l’infinito perdersi/ del ricordo/nel tempio nero/della nostra crudeltà/. Mentre Descartes appare l’ombra più inquietante, il riflesso più arduo, il padre (e la madre) ingombrante: ”Sei il residuo/ di bandiere, René,/assassino del volto/insostenibile./Il tuo rigore esatto,/il pugnale a vuoto/sul riflusso della marea”, Pascal è amico, fratello, forse l’alter ego che consente la piena sincerità:”Di notte, quando ero felice,/piangevo./E quale riso/portava il mio tormento!/Sono lo straniero/ vero e irreprensibile./Ed è per lui l’abbandono:”Sei gioventù, Blaise,/ spazio di silenzio/immemore/nel lago della nostra speranza,/sei il cuore che carezza il carbone./ Forse, il cuore”.Ma altre presenze aleggiano: un Leopardi sotteso che sembra assistere in un angolo, maestro d’infelicità e felicità, con l’eco delle Operette e del filo che lega liricità e pratica filosofica, lo studio matto e disperatissimo e quel stanco mio cuor, e un Pessoa invece dichiarato, nel richiamo alla celebre Autopsicografia dell’Autore portoghese: “… E così sui binari in tondo,/ gira, illudendo la ragione/ questo trenino a molla/ che si chiama cuore”. Qui sta il cuore di Pietro e la sua gemma:”Sbattevo i denti/sul trenino a molla/e ho cominciato a morire./Le tue labbra avevano/il gusto della nascita”.
I
Qualcuno ha paura di me.
E io sono solo
un uomo che trema.
Galileo di fronte alle stelle mute.
II
Sulle vette dell’onestà
brilla il fiore della solitudine.
Quale prezzo pagherò
per il nastro rosso del tempo?
III
Occhi di brace sulle gambe.
Catene di vento,
come il vento tra i pianeti.
Ho reso freddo l’universo
per un giorno più vero
sulle tue labbra di fuoco.
IV
Smemoriamo.
Come polpi assetati
di spiagge.
Lì ci sono i legni
che non hanno più mani .
V
Voglio carezze di pioggia.
E terra sul mio corpo,
che vi germoglino membra
alate della tua misura
e dei miei tanti ricordi.
VI
Basta poco.
Il soffio del mio destino
è sottile:
lo stupore della verità
tra i tuoi capelli in fiore.
VII
Sono nato
per servirti, Distanza.
Ho scritto il tuo nome
tra il compasso e la notte.
VIII
Il ritmo del respiro
profuma di orbite impazzite.
Sento nelle vene
le spade azzurre
dell’assenza.
IX
Percuotimi, fata disperata.
Sono il dio malato
del silenzio.
La geometria
dell’ultimo miraggio.
Pietro Secchi, nato a Roma nel 1974, è Dottore di Ricerca in Filosofia e collabora con l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Ha pubblicato la monografia «Del mar più che del ciel amante» Bruno e Cusano (Edizioni di Storia e Letteratura, 2006), oltre a numerosi saggi sulla filosofia rinascimentale. In poesia, ha pubblicato L’altro emisfero (Lietocolle, 2007); Le arance dormono ancora (Lepisma, 2008); Solo gli occhi ci possono salvare, (Puntoacapo, 2010). è presente in varie Antologie edite da Lieto- colle, Edizioni Progetto Cultura, Aletti e Giulio Perrone. Vincitore della prima edizione del premio “Città di Nettuno 2010”.