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Alba Metaponte
inediti

Alba Metaponte


Memorie


Mi misero una camicia di forza e non mi accorsi, mi ritrovai seduta vicino al letto

con le braccia incatenate e gli occhi intrappolati in un urlo.

Qualcuno ha osato mettermi una camicia di forza, e mi stava larga, nonostante avesse

chiodi. Provai a toglierla, tentai più volte, non ci riuscii.

Il mio corpo si ergeva, in verticale all'altezza della luna, riducendosi.

Tutta la roba mi stava stretta. La mia gonna sbiadita, i miei sandali di ferro, il mio

cappotto di granito; in tasca avevo tante chiavi, ma nessuna serviva ad aprire quel

reticolato tessuto di angoscia.

Anche il cuore mi stava largo, seppure lo cucirono a morsi, lo guardavo,

era tiepido, aveva il colore della nebbia e percorreva un cammino senza cielo né terra,

senza suoni. Gli mancava l'ardore e il fiato. Me lo tolsero freddo con tutti i chiodi e

tuttavia sanguinava.


Principi, precetti e regole


Io e mio padre arrivammo dal dottore. La sala d’aspetto era stracolma di gente. Non ci

sedemmo, ci sembrò superfluo. Se avessimo occupato altre due sedie, la nostra attesa si

sarebbe prolungata. L’ergonomia ha fatto passi da gigante e il comfort delle sedute ci

avrebbe procurato uno stato di relax eccessivo. Decidemmo entrambi di rimanere

protesi verso l’alto con il corpo eretto e gli occhi puntati al soffitto squamoso, un mostro

di lana di vetro che raccontava con garbo, quasi in silenzio, tutti i discorsi assorbiti dalle

pareti. Mio padre camminava avanti e indietro calpestando sempre le stesse mattonelle

con un rituale antipatico. Io per conto mio tenevo la nuca al sole. Le entrate e i corridoi

con molto traffico pedonale avevano semafori immaginari per evitare che le persone

cozzassero in un calpestio senza sosta. La gente con problemi oculistici, vedeva solo il

verde. Mi misi a contare i passi delle scarpe che uscivano, entravano e viceversa. La vita

è piena di meraviglie come questa, la matematica dei passi. Le scarpe non lasciavano

impronte, ma da una suola guizzarono esseri ricurvi, a forma di cilindro o rotondi.

Alcuni disposti a cubo con colorazione di invertebrati marini. Correvano velocissimi in

tutte le direzioni lasciando una scia appiccicosa e multiforme. Una coppia formò una

pappetta grigia nel giunto aperto di un pavimento, si dibatteva e sembrava soffocare.

Non c’era ossigeno, solo freccie direzionali. Una delle due si staccò, strisciò ansimando

e finalmente si infilò nel taschino della giacca dell’infettivologo, salì pian piano per il

pomo d’adamo come scalando una montagna, ansimando plasticamente. Si fece

coraggio e con la leggerezza di un atleta si lanciò tra le fessure rosate dell’ugola. Il

medico ci chiamò per entrare.

 

Morte di un tasso


Giacevi dietro un sipario di asfalto, il tuo corpo era così pesante come imbottito di paura

per qualcosa che non conoscevi. Macabra la primavera ti portava un feretro per il suo

debutto. La morte è incantevole dicevano i corvi. “E’ laggiù, lo hanno lasciato sulla

strada”. Il silenzio non rispondeva e io neppure. Le voci non si fermarono:” E’

circondato di formiche che accarezzano la sua immobilità, guardano le sue mani distese

come croci, lo hanno lasciato solo come se non fosse mai nato”. La terra era imbevuta

con la stessa aura funesta che ricopriva la porta e le pareti della luna. La morte

quel giorno cercava una forma per disegnare la sua immagine e la trovò nel tuo

mimetismo, nella tua intelligenza di architetto delle tenebre, nelle cavità del terreno, nel

pianto dei tuoi fratelli. Sei diventato così piccolo come una goccia di sangue e le

mosche ballano davanti la tua bara di viaggiatore notturno. La notte come un sicario ti

fermò di colpo mentre con i tuoi piccoli passi di orso uscivi tra le ombre del mais a

cercare la tua libertà. Ascolta come si mescolano nel campo i venti, come piangono gli

uccelli verso il nulla creatore, la tua morte spaventò gli angeli che dormivano nella terra,

sotto i tuoi corridoi di cieco, dove adesso le farfalle seminano vermi in un luogo

disabitato. Sotto il tuo corpo emerse la mia mano, ti ho guardato per un istante che

furono mille e le mie lacrime ardenti hanno bagnato il tuo corpo freddo, non ti

abbandonerò con questa cenere di ortica nel petto, con questo inganno dell’oblio.

Lascerò che i tuoi passi si propaghino nel ventre della terra, che spargano le tue radici, e

aspetterò la prossima primavera per incontrarti nel fulgore di un fiore bianco di ciliegio,

lo stesso fiore che ti ho lasciato un giorno di aprile imbevuta di pioggia e di lacrime.

 

 

Il mago


Il mago viveva in profonda solitudine, usciva solo per comperare cibo e rientrava

correndo per una strada decorata con docili alberi azzurri. A volte dimenticava qualcosa,

ma non tornava mai indietro. Si vergognava molto della sua faccia da formichiere, per

questo usciva con un mantello nero per nascondere il suo volto. Nessuno vide mai la sua

faccia. Solo gli servivano gli occhi per non perdere la rotta. Le sue pupille si

allargavano o si riducevano secondo le stagioni. La sua vita era una sequenza di colpi

di scena, una liturgia senza regole che mutava in ogni istante adornata di candelabri,

scritture sacre e varie decorazioni.

Il mago solo voleva essere mago e niente di più, però non confezionava figure di fumo

per chiunque, né faceva incantesimi per domare dragoni, e nemmeno innamorava

le api che gli pungevano il volto. Girava e rigirava fino a puntare la direzione opposta.

Il cappello gli rubava il giorno come un ladro, e lì solo appariva la sua notte, la sua

compagna con denti stellati, il suo nido affamato di buio. E mentre la luna ululava

ai lupi, lui faceva copie di se stesso.

 

 

L'arte di ciò che crediamo di essere


L'esistenza è il sonno in maschera, la morte il carnevale della vita.


Creature bianche saltarono dal crepuscolo, la loro irrealtà aveva più segreti nei giorni di

fioritura della luna. Adele seduta davanti al camino contava le fiammelle giocando a

spaventarle. Piccole scintille si aprirono in lingue di fuoco, battiti d'ali dilagarono nella

casa, moltiplicandosi. Le stanze gravide di luce procreavano il tempo sospeso nel corpo

di una rondine. I sibili del vento scossero le imposte con un crepitio secco. Adele

cercava la luna nelle frasi del vento, non la vide. Attraversò il suo museo di dalie, i

sorrisi delle lucciole vibravano con i suoi passi, raccolse in una ciotola le ultime farfalle

ancora sveglie e si addentrò nei germogli della luna. Arrivò al limite del sogno. Davanti

ai suoi occhi, un manitù con testa di cervo segnava con il turchese la linea di confine tra

il cielo e la terra.

Un giardino acquatico balbettava mille linguaggi tra i nodi di bambù e le spore delle

felci. Un violino palustre tremava nello scheletro di una carpa. La melodia totemica

frizionava i legni di sambuco in una musica che nutriva le bocche dei frutti. Le foglie

danzavano con i pesci, gli alberi dervisci vaticinavano al suono inviolato dell'acqua e

dame di mandorla sfilavano sul broccato delle zagare. Danzava la notte senza luna,

vestendo la sua forma in leggiadro cerbiatto. D'un tratto, gli occhi del silenzio si

spalancarono, una carrozza con cavalli dorati come spighe di grano portò il pane

defunto della luna. I nocchieri sciolsero le ancore della vite, la realtà fu pescata dagli

osti e irretita in calici sanguigni. In una liturgia burlona, l'inesistenza si ergeva

santificata dalle acque. Adele cercava la luna nei riccioli di Callimaco, non la vide. Il

cielo si schiuse, sbocciando in maschere di zucchero. In una pace palmata e metallica la

carrozza si fermò e la musica verde ebbe fine. La luna cercava Adele negli specchi

dell'acqua, due esseri monocromi inseguivano il grottesco. Il cuore di Adele si disperse

nella nebbia azzurra, tra le sue dita scricchiolavano le ossicine della maschera. La notte

attecchì nei suoi occhi. Creature bianche deflagarono in piccoli fuochi d'artificio, la

rondine fermò il tempo sospeso tra le sue ali incenerite.



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Alba Metaponte è nata in Calabria. Ha studiato Giurisprudenza all'Università di Bologna. Ha tradotto importanti poeti latinoamericani tra i quali risaltano i cileni Vicente Huidobro, Pablo Neruda, Nicanor Parra, Oscar Hahn e Jaime Huenún; le argentine Alejandra Pizarnik e Olga Orozco; la uruguaiana Marosa Di Giorgio; la peruviana Blanca Varela, la messicana Rosario Castellanos, e molti altri. La sua passione per la poesia latinoamericana, nasce all'età di 16 anni quando le venne regalato un libro di poesie di Pablo Neruda, Odi elementari. La lettura del libro rafforzò enormemente la sua attrazione per il mondo, le tradizioni e la letteratura dell'America Latina. Inizia così il suo percorso di approfondimento, lettura e conoscenza di innumerevoli altri autori come il messicano Juan Rulfo, il colombiano Gabriel García Márquez, Julio Cortázar e altre voci di enorme rilevanza come César Vallejo e Jaime Sabines. Ha vissuto molti anni in Cile dove ha avuto modo di collaborare con grandi artisti. Attualmente conserva un'importante opera inédita. 

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