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Cinque poesie di Antonietta Gnerre da “Quello che non so di me” (InternoPoesia 2021)




*

                                    a mio figlio Mario

 

Quello che mi piace del tuo nome

è ciò che non è stato nei secoli.

Da bambino ti svegliava

quando non sapevi parlare.

Quando non conoscevi i numeri.

Lo ascoltavi in silenzio

prima di aprire gli occhi,

prima che lo smalto di una nuvola

diventasse grigio.

Lo so: hai bisogno di saperti in questo nome.

Di indossarlo come fosse seta,

straccio, riparo momentaneo.

Quel suo stare con te

moltiplica i tuoi pensieri

 

*

 

Il pavimento forma un verso.

E qui, dove invento una casa nella tua,

poggio le mani sui muri ancora caldi

dell’ultima estate.

Le poggio per misurare chi siamo.

 

Gli ulivi ci attendono nascosti.

Ora, ad esempio, anche loro stanno fissando

le formiche che trasportano un chicco di grano.

 

Il verso si completa con la luce che arriva

dalle persiane

tra i nomi delle formiche

che ci osservano.

 

Pescoluse Marina di Salve, Lecce.

 

*

 

Sono i minuti a cambiare il suono delle cose,

quando cercano di sopravvivere piegati nei cassetti,

al caldo che coordina le ombre.

 

Quando baciano i morti

rimescolando l’energia del fieno,

il pietrisco vivo della terra.

 

Spiano le braccia che non possono volare,

quando vedono formare la bolla d’aria

che protegge una poesia degli anni vissuti.

 

*

 

Mi parli delle nuvole

e non sai che le ho viste in un altro luogo.

Nascevano come anime materne

quando smettevo di pensarmi,

di dimorare nell’ordine del tuo ufficio.

 

Mi parli delle nuvole

e non sai che le ho sigillate in un calendario.

Le indosso come un miracolo

che non devo conoscere.

 

Vedi, insieme siamo stati

un qualcosa che è accaduto.

Siamo stati eterni.

 

Eppure distanti dai muri sacri delle promesse.

 

*

 

Quello che non so di me

è superiore alla pioggia.

 

Si rifiuta di cadere.

 

È una bellezza che resiste

al buio dei temporali.

 

È una piccola follia

che si ferma sopra le curve

della massa informe delle strade.

 

Quello che non so di me

conta gli anni dei fiumi,

 

tutte le mani che hanno lavato

le lenzuola. E le cose ferme a terra

 

tra gli abbracci delle piante.

 

C’è remissione nel naufragio dei miei occhi.

 

C’è supplica nel prestare attenzione

alle cose che mi mancheranno.  

 





 

 

Antonietta Gnerre (Avellino, 1970): docente, poeta, critico letterario, scrittrice, saggista, giornalista e promotrice culturale.  Ha pubblicato le sillogi poetiche "Il Silenzio della Luna" (Menna,1994), "Anime di Foglie" (Delta 3, 1996), "Fiori di Vetro. Restauri di Solitudine" (Fara, 2007), "Preghiere di una Poetessa" (Lo Spirito della Poesia, Fara, 2008), "Pigmenti" (L’Arca Felice, 2010), "I ricordi dovuti" (Le Gemme, Edizione Progetto Cultura, 2015), “Quello che non so di me” (InternoPoesia 2021). I Saggi: "Meditazione poetica e Teologica in Mario Luzi" (Delta 3, 2008), "Cristina Campo" in "Il viaggio silenzioso e spirituale, Forme di pensieri, saggi di Diritto e Letteratura", a cura di Felice Casucci (ESI, Napoli, 2013-2015). Ha scritto la favola "La storia di Pilli" (Scuderi Editrice, 2019) e curato insieme a Rita Pacilio l’antologia poetica "Una luce sorveglia l’infinito" (La Vita Felice, 2016). Ha collaborato con Andrea Fazioli al libro "La beata analfabeta. Teresa Manganiello, la sapienza delle erbe" (San Paolo, 2016). È presidente del Premio Internazionale Prata e direttore artistico della Festa dei Libri e dei Fumetti di Avella.

 

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