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Giacomo Caruso: "ora nasco bambino delle stelle" - una vita di poesia

Come molti sapranno il nostro caro amico Giacomo Caruso, appassionato musicista e irriverente poeta, ci ha lasciato l'altra notte dopo aver lottato contro il covid 19. 

Il suo corpo, fatto di materia, ci ha lasciato, ma Giacomo non era solo questo, la sua essenza rimane indelebile come il sorriso e la gentilezza che ci ha donato sempre.

In una sua poesia Giacomo ha scritto "ora nasco bambino delle stelle" e mi piace pensare che quel bambino ora sia felice nel suo viaggio di luce, felice della vita vissuta, felice di aver fatto della sua vita una straordinaria poesia.

La casa editrice Progetto Cultura e io abbiamo avuto l'onore di pubblicare una sua raccolta di poesie nella collezione di quaderni di poesia "Le gemme" e ora, proprio per far vivere e viaggiare la "parola" di Giacomo, abbiamo deciso di comune accordo di pubblicare qui su ParolaPoesia tutta "la gemma" di Giacomo affinchè ognuno di voi possa leggerla e apprezzarla.


Cinzia Marulli


Apparenze

di Giacomo Caruso


Prefazione di Letizia Leone




Ballate rap dalla fine del mondo


Correva l’anno 1919 quando Paul Valéry, con inquietante precisione, metteva sull’avviso che non


solo l’uomo è mortale, ma le stesse civiltà sono destinate all’estinzione e che “l’abisso della storia è grande abbastanza per qualunque cosa”.


Considerazioni primonovecentesche, certo, incluse ne La crisi dello spirito, ma che adesso, ad un secolo di distanza assumono la valenza di premonizioni apocalittiche drammaticamente urgenti: le civiltà, interi sistemi culturali e spirituali, come l’umanesimo, ad esempio, rischiano la sparizione, così come già accaduto per molte specie viventi ed ecosistemi, inghiottiti in spirali irreversibili di distruzione. Eppure non è un caso che tali riflessioni critiche siano state scritte da un grande poeta perché la poesia si rivela quasi sempre lucida testimonianza del contemporaneo, specchio della storia collettiva ed individuale.

Questa la premessa necessaria per entrare nella poesia di Giacomo Caruso.

La sua scrittura poetica, infatti, risponde in pieno ad una vocazione civile, a quella  spinta della poesia a farsi viaggio dentro l’anima del proprio tempo, oltre che del proprio io.

Il suo canto inizia in medias res, ci catapulta subito nel bel mezzo del regno delle Apparenze (la società liquida e materialistica con i suoi miti, feticci, simulacri...), dove un nuovo medioevo mediatico e tecnologico pare aver sostituito l’interiorità con l’esteriorità. Certo non è facile “recitar cantando”, o per meglio dire, con versi diversi, persi, densi / di doglianze e di voglia che non c’è, sintetizzare tutta la complessità della società globalizzata e insieme l’agonia della civiltà occidentale dove ogni cosa sembra dissolversi in una sorta di liquidità. E Zygmunt Bauman, che ha sancito l’idea di “modernità liquida”, è convinto che questo interregno di crisi, di liquefazione di ogni valore e certezze, durerà abbastanza a lungo. Allora il poeta, costretto nella palude dell’attuale disorientamento (in questo stato d’animo collettivo sublimato nei nuovi valori dell’apparire e del consumismo bulimico), fissa una sorta di organigramma poetico:


non voglio che questa mia poesia sia soltanto invettiva

la poesia è un’eucarestia la voglio cosa viva

la voglio più creativa, inventiva, sognante assonanza

vicina alla danza del cuore e della mente non riesco

a scrivere niente

che non sia scaturigine del cuore, dell’immenso dolore

che mi preme e mi opprime ombra scura che mi porto

appresso che indosso ogni mattina quando il sole

prova a schiarire il velo chiuso nel mio

impermeabile/corazza


Contro i rischi di fraintendimento bisogna dichiarare intenzioni ma anche ri-fondare il senso labile del fare poesia oggi: non solo invettiva... la voglio cosa viva e sognante assonanza... scaturigine del cuore; e cioè ribadire che la poesia è una forza viva alimentata dall’intelligenza del cuore e dalla razionalità, da spinte emotive ed etiche insieme. Giacomo Caruso ha introiettato il senso pasoliniano del voler “restare / dentro l’inferno con marmorea / volontà di capirlo”, una continua tensione tra passione e ideologia elettrifica i suoi versi distribuiti nei tre movimenti/momenti del libro, “Apparenze”, “Considerazioni dal pianeta terra”, “Paura, Tempo, Eternità, a piacere”.

Già ad una prima lettura di questi testi, vere e proprie partiture verbali dalle ampie volute ritmiche e melodiche, si intuisce come l’autore goda il privilegio di una doppia ispirazione, quella del poeta e del musicista. La sua poesia, nell’impianto dei versi molto ritmati, condensati in lunghe lasse strofiche, rivela la struttura di un rapping di altissima qualità poietica dove la parola tende a teatralizzarsi, esige la messa in scena vocale, necessita del canto o per meglio dire di una scansione ritmico-sonora martellante ed energica.

Infatti nell’esecuzione (sia lecito il prestito dal lessico musicale) e nell’ascolto di questi poemetti, per non dire ballate rap di forte impatto comunicativo, si viene investiti da un’onda sonora continua che prevede rare pause ed evoca, quale sottotraccia invisibile di accompagnamento, un ritmo di percussività sonore. Già Sanguineti aveva sperimentato il rap nella versificazione, la recitazione ritmata, una “messa in forma delle parole” che riportasse in primo piano il ruolo della musica all’interno della poesia. Nel laboratorio di Giacomo Caruso troviamo tutti gli strumenti delle figure stilistiche e di parola, la sua ricerca sul suono e sul significato si ricollega alla parentela originaria e indissolubile tra suono e forma verbale, la quale ha ascendenze magiche e incantatorie.

La tessitura verbale è tramata sulle ripetizioni, dalle allitterazioni alle paronomasie, dove l’uso delle iterazioni fonoprosodiche si assimila alle note ribattute di uno spartito musicale. Ma l’insieme altamente ridondante della composizione si avvale anche di anafore, giochi linguistici, assonanze, omoteleuti e rime varie, dalle imperfette alle rime interne fino alla rarità delle rime sdrucciole.

In “Considerazioni dal pianeta terra” ci troviamo di fronte ad un recitativo dalla robusta valenza segnica e semantica, quasi un diario di bordo confessionale stilato sulla misura di un verso ipermetro che passa in rassegna drammi planetari ed intimi dell’io, quali entità frammentate dopo la perdita di una loro simbiosi originaria. L’ecocidio viene evocato nella figura dell’orso polare a rischio di estinzione e nella denuncia della responsabilità umana, la specie più pericolosa del pianeta:


...nella massa, nella matassa debole e intricata, che

cresce e si diffonde e confonde da secoli, millenni,

l’uomo s’espande a dismisura e cambia la natura ...


Una sperimentazione metrica ad ampio raggio, quella di Giacomo Caruso.

Nell’ultima sezione viene attualizzata la ballata in endecasillabi con ritornello, e qui il ritornello diventa segnale e richiamo contenutistico macroscopico: d’ansia sottile è questo nostro tempo oppure è tempo ormai di dare tempo al tempo; una allarmante eco che rilancia variazioni e approfondimenti sul tempo corroso di questa nostra post-storia quotidiana...

Date queste premesse diventa inutile sottolineare come nella poesia di Caruso si riveli fondante e fondamentale l’atto dell’esecuzione, l’atto della lettura, la grana e il timbro della voce che pronuncia le parole di questo ammirevole montaggio acustico destinato a suscitare una specie di “pelle d’oca uditiva” nel pubblico, come direbbe Seamus Heaney.

Letizia Leone


***

trasumanar transumando di stanza in stanza colmare

la distanza tra volizione e voluttà palingenesi e metempsicosi.

Apparenze. ingresso riservato agli addetti ai lavori

se tocchi i fili muori o cadi ammalato

gravemente

sostanze, accidenti, soltanto apparenze i guasti del pensiero

occidentale sono evidenti sotto gli occhi di tutti

pensieri orizzontali, idee unidimensionali,

niente che spazi, spezzi, voli                                             

meritiamo tutti il paradiso dell’ovvio, del banale

come un cambio di canale, uno zapping metafisico

che poi la sostanza sia soltanto apparenza o semplice

accidente condizione necessaria e sufficiente lo narrano i

filosofi da secoli psicologi, alchimisti

persino i giornalisti ritengono di avere soluzioni buone per

tutte le stagioni o in alternativa

nel breve periodo nel soffio di un istante

cultura arrogante ad ogni nuovo giorno la realtà terribile e

invadente mostra il culto del niente altrove

si stabilisce il come il quando si determina il quanto ed il

perché si decide meno democrazia una libertà sotto tutela

altrove

il capitale sta sferrando l’offensiva finale in maniera virtuale

in maniera virale in maniera globale


***


la forza del denaro genera denaro

hanno deciso in nome del profitto di abolire il diritto

di scatenare l’apatia, la monomania, la disperazione

e noi siamo divisi, dispersi, uccisi chi si opporrà


ci dobbiamo contare ci dobbiamo preparare stare pronti al

minimo accenno alla campana in allerta perenne resistenti

renitenti resilienti stare pronti ed attenti alla fine dell’eone

al colpo di coda del dragone per nessuna ragione perdere di

vista gli obbiettivi rimanere vivi senzienti se necessario

mostrare i denti indossare di nuovo l’armatura imbracciare

cultura rinsaldare i legami affinare la mente affilare le lame

risolvere gli enigmi delle sfingi delle tigri di carta trascinare

il pesante sollevare il presente sacche di resistenza di mondi

lontanissimi contro il culto del male, della morte, del nulla

globale contro la tecnoidiozia totalitaria e totale


miserere all’Italia dei naufraghi e dei furbi

dialoghi sui massimi sistemi tra passeggieri e

venditori di almanacchi, tipi bislacchi, venditori

di carte di credito e discredito, banchieri, grilli

parlanti, avventurieri, non sono la favola bella

che ieri m’illuse, che oggi mi illude, o forse

delude, ma certo collude, e anche collide con le

mie idee magari ne avessi di nuove di belle!


sostanze, accidenti, soltanto apparenze


***


non fa differenze chi sfrutta le miserie, misere, serie, di un

popolo alla frutta allegrie di naufragi e nubifragi

e dissesti e palinsesti, sconfitta degli onesti andiamo avanti

con difficoltà non abbiamo la forza di guardare non

abbiamo il desiderio di cambiare non abbiamo la fede di

aiutare non abbiamo il coraggio di rialzare chi non arriva

alla fine del suo viaggio chi non arriva

alla fine del mese chi non arriva alla fine chi non arriva

voglio i responsabili, voglio vederli in faccia se lasciano una

traccia una scia di bava, esseri che si nutrono d’anima

succhiano il cuore, lo lasciano vuoto involucro di carne e

sangue disfatto distrutto e sul finire d’un febbraio muto

io piango calde lacrime e salate una terra, la terra mia

adorata luogo che mi ha generato diventato un paese

perduto così inabitabile così ingovernabile così

spaventevole così nonostantetutto così ancora amato così


***


aiutatemi a coltivare la speranza

datemi ancora un valido motivo per sentirmi più vivo

desideroso ancora di lottare e cambiare una linea perversa

una strada ormai persa


e sul finire d’un febbraio muto

si ripete, moderno antico rito,

’esercizio della democrazia

cittadino che esercita il potere, il diritto-dovere

tutto quello che dovete fare è una croce sul

simbolo o sul nome, non c’è preferenza dovrete

farne senza, è la legge asino chi legge, chi elegge,

fette di salame sugli occhi o nelle schede,

mangiatevi anche quelle, partito del nonvoto,

antipolitica populismo o demagogia, non c’è più

ideologia, non c’è democrazia il rosso si è

stemperato in un freddo arancione... sostanze,

accidenti, soltanto apparenze


***


mi avvio con levità immorale, immortale,

immotivata verso versi diversi, persi, densi di doglianze e di

voglia che non c’è non ce n’è mai abbastanza chi

conduce la danza non cede duole e fa male l’anima

non voglio che questa mia poesia sia soltanto invettiva la

poesia è un’eucarestia la voglio cosa viva

la voglio più creativa, inventiva, sognante assonanza vicina

alla danza del cuore e della mente non riesco a scrivere

niente

che non sia scaturigine del cuore, dell’immenso dolore che

mi preme e mi opprime ombra scura che mi porto appresso

che indosso ogni mattina quando il sole prova a schiarire il

velo chiuso nel mio impermeabile/corazza chiuso nel cielo

di nuvole e pensieri solite scarpe soliti jeans addosso e

troppo tempo per pensare ombra scura che mi attende in un

fosso, al semaforo rosso, al varco della vita


***


avevo da bambino soldatini di carta e carrarmati e

inventavo battaglie con me stesso

spada finta - corazza di stagnola come sola compagna la mia

fantasia


la mia fantasia

come sola compagna

corazza di parola - versi veri ed invento schermaglie di

destrezza cerco da adulto nuovimondi di carta e

pentagrammi


***


quel giorno era così freddo che si è cristallizzata la

tristezza un frammento di gelo mi è rimasto - dentro una

fitta lontana ed invadente lama luminescente un

pervadente niente vago e persistente


***


cosa aspettiamo ancora dalla notte se

non gli abbracci i baci le carezze

sprofondiamo nei sogni e nel diletto,

nel nostro letto, astronave d’infinito, ci

accoglie l’altrove e l’altroquando un

varco cristallino, un arco astrale un

vortice metatemporale un pensiero

bambino, un gesto animale tutto si

ferma, tutto si ricrea nell’amore

riprende fiato il mondo il nostro e

quello intorno finché arriva di nuovo il

nuovo giorno ed i suoi affanni quelli di

ieri

riposati anche loro dalla notte dal

sonno


***


ma tu, tu che mi hai amato un tempo non lontano

disperdi la mia immagine, se vuoi, in minuti frammenti

disperdimi, triturami, frantumami in oligoelementi

disperdi la mia vita, se lo vuoi, disperdi il bello e il buono

che c’è stato tra noi, per noi, in noi.

disperdi le carezze, e i baci, e le tenerezze,

disperdimi, se vuoi.

disperdi i versi miei leggeri, l’oggi e lo ieri,

le notti insonni e i sonnolenti giorni.

disperdi la mia vita, se lo vuoi,

non finita, ma mai comiciata

prima di te.

disperdimi, se vuoi. disperdi me


sostanze, accidenti, soltanto apparenze


***


provo spesso una grande nostalgia di

tutte quelle vite che non ho vissuto un

pesante tributo alla realtà oggettiva al

bisogno e alla necessità

mi piace ultimamente - quando posso –

rintanarmi in casa in me stesso

nel territorio sterminato dei versi/delle note rifugio

dall’inquieta moltitudine riparo dall’insana ingratitudine

dalla tempesta in salmodiante spasmodica ricerca di un

angolo di mondo

un luogo ancora libero non virtualizzato

rimasto inattaccato dalla minaccia globale

fuori o dentro la mente nel bisogno

impellente dell’attesa nell’estrema difesa

di quello ch’è più sacro nell’estrema

difesa

amo in realtà anche altre cose, ma sì, mangiare mi piace

e si vede

non amo invece il sudore, fatiche coatte e palestre,

persone distrutte o distratte dal culto del corpo... la

mente... se la mente ha un culto lo sposo lo adotto lo

faccio mio, tenere il cervello in funzione fino alla fine e

oltre

la coltre di cielo di vento lo stelo di un fiore che muore

rumore, rumore di foglia cadente sono soltanto

comete, forse apparenze sognanti assonanze, le

stanze, acquadanze d’istanti che corrono avanti, gli

anni son tanti... di già?

e come ci sono arrivato, che è stato, il tempo è

passato inesorabile incommensurabile adorabile

devastante


***


siamo più consapevoli in questa anagrafica medi-età?

siamo più forti, più deboli, o morti? siamo vivi,

ancora,

resistiamo, suoniamo, scriviamo, amiamo, ci siamo

            e ci resteremo


nessun cervello ripete all’infinito

ma liberati in pura energia saremo tutto-in-uno al

multiverso già mi sento un po’ perso al pensiero d’eterno ai

ricordi d’inverno nelle ossa e nel corpo in fondo non

sappiamo quali mondi ci aspettano al di là di quella crepa

che misura di sé l’inconoscibile

che informa in sé l’incommensurabile passaggio vago ad

altre dimensioni puro presagio pieno d’energia vita di vita

altrove ed oltre ancora galassia trasparente di pensiero è

certo che dal noto all’ignoto ci sia stato un varco uno iato

una cesura un guado così mi sento attanagliato e preso ma

non sorpreso

di una furente e imbarazzata quiete una stasi quasi una

depressione una tristezza una dolcezza nuova

un’energia vitale che scorre a tratti e poi s’inceppa fino

all’estremo limite del tempo tralasciar trasalendo di rumore

in rumore perdere il candore tra costrizione e correità

cosmogenesi e metamorfosi. Apparenze. ingresso riservato

al solo personale

se dici che fa male rischi di essere odiato cordialmente


sostanze, accidenti, soltanto apparenze



Considerazioni dal pianeta Terra


I

pensavo infatti che l’orso polare, il grande predatore,

è a rischio d’estinzione - spacciato, segnato perché

ridotto s’è lo strato dei ghiacci condannato dal

riscaldamento globale del pianeta provocato dal

cosiddetto effetto serra un effetto letale una guerra

un segnale dell’insolente inconsistente incosciente

arroganza e che di tutta questa terra la specie più

pericolosa sia l’umanità


riflettevo infatti che nel suo complesso senza eccezione

alcuna - anche chi legge e chi scrive - ricompresi nella massa,

nella matassa debole e intricata, che cresce e si diffonde e

confonde da secoli, millenni, l’uomo s’espande a dismisura e

cambia la natura intrinseca di questa scheggia di materia

incastonata in un remoto angolo di un remoto sistema di un

remoto universo perso in perpetuo moto tra milioni di altri

mondi all’infinito


consideravo infatti che per quanto si faccia, si dica, si

combatta

- cause giuste sbagliate concrete astratte -

raramente il nostro passaggio in questo mondo lascia

traccia, ricordo, considerazione, al di là dell’effimero

deserto abisso inevitabilmente insondabile che - ogni

giudizio sospeso - appare in chiaro nel solo evidente

ribrezzo per tutto ciò che induce ragionevoli certezze di

fede o di speranza


rimuginavo infatti che in eterne guerre o conflitti si

dibatte l’essere detto umano inconsapevole pedina o

schiavo di false convinzioni bisogni religioni che

invece della liberazione impongono catene

e gravami sempre più duri e strazianti

avviluppato in una ragnatela mortifera e

perversa persa colpo su colpo la rotta per l’eterno

passo su passo verso l’inferno in questa terra


II

pensavo infatti che da tempo non seguo più l’esempio di

chi mi ha preceduto, ha creduto in quello ch’io non credo

ormai più ed una nuova via soltanto mia devo inventare o

affrontare camminare a lungo solitario alla distanza

ritrovare una quiete un rifugio trovarlo senza indugio ché

già incalza la stolida certezza del niente quodidiano

diamoci la mano in cordata saliamo ancora e ancora laggiù

(lassù) un barlume di salvezza gioia o serenità il dilemma


riflettevo infatti come da grande desiderio d’infinito

questa assetata umanità venga animata quando - ogni

eccezione rimossa - viene scossa dal palpito alieno del

divenire dal brivido feroce del capire quanto vicina sia la

meta quanto distante sia dal comune sentire la via

maestra che traspare negli attimi di luce induce in

tentazione e sminuisce il quotidiano gioco complicato e

infecondo giro giro tondo giù per terra


consideravo infatti che non è esercizio di pessimismo

cosmico, comico dibattersi, mera affabulazione, stolta

riflessione su quanto ci circonda ci opprime ci deprime ci

abbatte catartico il diluvio di parole che sgorga e si

profonde non è così non è questo lo scopo il fine la

destinazione non è tra pace e guerra che s’impone la scelta

è tra essere e non essere partecipi della scintilla vitale

dell’energia animale che permea l’universo


rimuginavo infatti che è già tanto se riesco a dirmi un po’

sereno provarci almeno la gioia se c’è stata è passata come

effimera cosa un profumo di rosa un sentore un velo

trasparente un niente lontano le dita di una mano le

occasioni passate oltre andate senza rimpianti e senza

recriminazioni emozioni oh sì ci sono ancora e allora diciamo

che la gioia è speciale se c’è fa male porta lontano

metabolizza la sconfitta l’età che avanza cambia la

prospettiva cura la carne viva lenisce la ferita (molti la

chiamano vita) alla fine



Paure, tempo, eternità, a piacere


I

d’ansia sottile è questo nostro tempo


mi sorprende alle spalle la paura, paura

che si snoda come serpe serpe

viscida serpe quotidiana quotidiana

d’affanno mi sorprende d’ansia

sottile è questo nostro tempo


di paure le eterne conviventi conviventi

di questo nostro mondo mondo

fantasma orrido bestiale bestiale

zoo reale di paure d’ansia

sottile è questo nostro tempo


di mostri generati dentro il sonno

sonno dell’intelletto, di memoria 

memoria selettiva e casuale casuale

mostra d’efferati mostri d’ansia

sottile è questo nostro tempo


è coltre scurotetra che s’estende s’estende

di terrore, di presagi presagi,

orrori, gravide parvenze  parvenze

vive d’anima ch’è oltre

d’ansia sottile è questo nostro tempo


voglio che la paura mi attraversi

attraversi la mente e non mi uccida uccida

nel pensiero i desideri desideri

di volo e vento io voglio

d’ansia sottile è questo nostro tempo


II

tempo trafitto trepido tremante

tremante disperato ansante perso

perso di gorghi attorcigliato sghembo

sghembo contorto vorticoso tempo è

tempo ormai di dare tempo al tempo


nell’angusta clessidra ratto scorre

scorre sabbia silicea silenziosa  

silenziosa parvenza di memoria

memoria limitata ancora e angusta è

tempo ormai di dare tempo al tempo


ne rimane un’opaca trasparenza

trasparenza e sostanza senza veli veli

di vitrea vuota vanagloria vanagloria

del nulla ne rimane è tempo ormai di

dare tempo al tempo


tempo frattale e franto di dolore dolore

che indicibile rinnova rinnova le

rabbiose spire d’ansia d’ansia febbrile è

questo nostro tempo e tempo è ormai

di dare tempo al tempo


tempo corroso tempo della storia storia

vana maestra senza eredi eredi privi

d’ali e di memoria memoria esasperata

senza tempo e tempo è ormai di dare

tempo al tempo


III

il pensiero d’eterno ora sgomenta la

mente mia bambina ed un’angoscia

sottile mi artiglia nello stomaco la

bocca secca ed il pensiero fermo


statico immoto concetto d’eterno

che il prete ci trasmette dall’altare

un immobile stare, un desolato

nulla contemplativo e cristallino


vicina ora l’idea di un divenire oltre,

sforzo quantistico e vitale ritorno al

cosmo, ancora, al tutto-in-uno più in là,

dove coscienza sopravvive


dove l’essenza pura che noi siamo

sceglie tra sosta viva o nuova carne

vibrazione assonante al multiverso

cosmogonica, intera, unita, vera


un desiderio forte di sedere a

dialogo tra sogno ed infinito,

ritrovare l’amore, quell’amore

ch’era distratto e ruvido

al tumulto


il padre ormai non più severo e stanco

la madre cara lungamente amata la

sorella preziosa, il suo sorriso tutto

ritorna e tutto si confonde


cancellato lo scorrere solenne di

quotidiani affanni e d’incertezze 

pacificato il cuore finalmente di

tenerezze, di passioni e d’anni

le galassie si muovono al profondo

fanno corona e ponte di passaggio

tra realtà coesistenti e convergenti

di continuum votati all’equilibrio


ora nasco bambino delle stelle

risorgo dalla polvere del cosmo

quale il destino, quali le certezze

di nuova vita e consapevolezza


risplendo nell’umana divergenza di

nuova forma, di nuova sostanza

risplendo nell’aliena convergenza

dello spazio dove s’annulla il

tempo


IV

a piacere mi voglio regalare un canto nuovo e sapido nel

gusto, la sapiente pietanza sopra il desco, decantare del

vino la fragranza, la fresca birra, nettare divino, il r

obusto arabico caffè, del limoncello l’aspro meridionale

afrore, l’amore, l’amicizia, il virginale ardore, la bellezza

di tutto il bello che pure ci circonda, un’onda, farsi

accarezzare, travolgere, portare lontano, tenendosi per

mano nella corsa e la fuga, pioggia che bagna e asciuga,

pioggia d’estate


sopravanza dei pensieri la danza, ed ai doveri mi richiami,

eccomi arrivo, solo un momento ancora, sento fluire ora

vorticoso il torrente di parola che si affanna si affolla, mi

seduce, mi induce in tentazione, mi trascina mi porta oltre,

la sera la mattina il giorno, vado ma torno presto, ché solo

al pensiero di lasciare incompiuto un verso una trama un

capoverso una lama che scinde

il vero dal superfluo, mi travolge un dolore del cuore

dell’anima degli occhi, in lacrime leggere


tutto ritorna e tutto si trasforma e tutto in tutto a tutti fa

corona, perdona, sempre più veloce, precoce il

cambiamento dove sta scritto ch’io debba per forza stare al

passo ahi me lasso senza smartphone né reader senza il

placet della mondanità, del mondo che forse è ancora tondo

o quadrato, non so più, privo del desiderio di rubare un selfie,

uno scatto

un segnale, distratto dal volo d’una rondine, dalla foglia sul

ramo, dal desiderio di dire ancora t’amo, la ricerca di un viso,

un sorriso, una foto

interiore, che resta solo mia, nel mio cuore


ecco il mio preferito flusso di dati, frasi, sentenze, esperienze,

tutto interiore e tutto manifesto, se sogno o son desto, non ha più

importanza, quasi pacificato il cuore, in questo sterminato

territorio d’amore, pianura rigogliosa e accattivante di pensiero

confidente e straniero al tempo stesso, poeta dello spazio

interiore, sazio e affamato adesso e oltre, stendo la coltre

delle stelle sul mio sonno agitato pesante contrastato

preso da ruvidi pensieri da scabri desideri ansie precoci

le voci nel sonno amplificate, i rumori, di suoni bagliori


che spazio ancora dare all’angusto versificare, onesto

o maldestro incedere possente, più niente mi può ferire

(magari!) o trascinare via, solo la poesia m’afferra m’atterra

mi lascia e mi riprende risacca d’emozioni tremende, le sole

che accompagnano un pomeriggio tardivo un crepuscolo

un voltare di pagina l’atto finale della pantomima che la gente

s’ostina a chiamare vita quotidiana, scarnificata resta poi la vita

quando il fondo è toccato, arrivato, e vuoi, vorresti, puoi risalire


irriverente al contesto vi mando uno sberleffo un saluto un gesto


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