Dove sono le visioni
riflessioni di Carola Allemandi
su Roberto Bolaño
Roberto Bolaño
foto di Basso Cannarsa
Sucio, mal vestido
En el camino de los perros mi alma encontró
a mi corazón. Destrozado, pero vivo,
sucio, mal vestido y lleno de amor.
En el camino de los perros, allí donde no quiere ir nadie.
Un camino que sólo recorren los poetas
cuando ya no les queda nada por hacer.
¡Pero yo tenía tantas cosas que hacer todavía!
Y sin embargo allí estaba: haciéndome matar
por las hormigas rojas y también
por las hormigas negras, recorriendo las aldeas
vacías: el espanto que se elevaba
hasta tocar las estrellas.
Un chileno educado en México lo puede soportar todo,
pensaba, pero no era verdad.
Por las noches mi corazón lloraba. El río del ser, decían
unos labios afiebrados que luego descubrí eran los míos,
el río del ser, el río del ser, el éxtasis
que se pliega en la ribera de estas aldeas abandonadas.
Sumulistas y teólogos, adivinadores
y salteadores de caminos emergieron
como realidades acuáticas en medio de una realidad metálica.
Sólo la fiebre y la poesía provocan visiones.
Sólo el amor y la memoria.
No estos caminos ni estas llanuras.
No estos laberintos.
Hasta que por fin mi alma encontró a mi corazón.
Estaba enfermo, es cierto, pero estaba vivo.
Soñé con detectives helados en el gran
refrigerador de Los Ángeles
en el gran refrigerador de México D.F.
da “Los perros románticos”, Barcelona, Acantilado, 2006
Sporco, malvestito
Sulla strada dei cani la mia anima incontrò
il mio cuore. A pezzi, ma vivo,
sporco, malvestito e pieno d’amore.
Sulla strada dei cani, là dove non vuole andar nessuno.
Una strada che prendono solo i poeti
quando non gli resta altro da fare.
Ma io avevo ancora tante cose da fare!
Eppure ero lì: a farmi ammazzare
dalle formiche rosse e anche
dalle formiche nere, a girare per i villaggi
vuoti: lo spavento che saliva
fino a toccare le stelle.
Un cileno formato in Messico può sopportare di tutto,
pensavo, ma non era vero.
Di notte il mio cuore piangeva. Il fiume dell’essere, dicevano
due labbra febbricitanti che poi scoprii erano le mie,
il fiume dell’essere, il fiume dell’essere, l’estasi
che si ripiega sulla riva di questi villaggi abbandonati.
Sommolisti e teologi, indovini
e briganti di strada emersero
come realtà acquatiche in mezzo a una realtà metallica.
Solo la febbre e la poesia danno le visioni.
Solo l’amore e la memoria.
Non queste strade né queste pianure.
Non questi labirinti.
Poi la mia anima finalmente incontrò il mio cuore.
Era malato, è vero, ma era vivo.
Sognai dei detective gelati nel grande
frigorifero di Los Angeles
nel grande frigorifero di Città del Messico.
da “I cani romantici”, Edizioni SUR, 2018 - Traduzione di Ilide Carmignani
In diretto contrappunto con quanto emerso dalla poesia di Cristina Alziati, Terza lettera ad Antigone, Bolaño ci trasporta sul terreno sollevato in cui l’immagine può muoversi, l’invenzione iperrealista del proprio essere nel mondo: non sono le strade di Città del Messico, né il metallo urbano, nauseabondo, a costituire l’intera geografia in cui il poeta si ritrova vagabondo, bensì il momento in cui si ritrova in grado di vedere. Ovvero l’attimo in cui, vedendo, si esiste: “Eppure ero lì.” “Sulla strada dei cani” tutte le apparenze e le apparizioni che capita di incrociare sul proprio cammino senza direzioni sono il frutto concreto di quanto visto, eppure appartenenti a un mondo si direbbe inesistente. Il fatto stesso di essere in un luogo può diventare la base che permette una qualsiasi perdita di orientamento, la confusione naturale dell’uomo perso, in balia di leggi che non sono le proprie - inesistenti: così ci si ritrova nel “fiume dell’essere”, quel tipo di travolgimento da cui essere al contempo attratti e respinti, per poterlo guardare da lontano, come realtà pura. Alziati ci diceva di un modo di vedere che potesse iniziare, come un processo a più fasi, da una visione soltanto evocata, descritta, fatta trasudare dal lessico con cui, leggendola, la si compone nuovamente: la realtà concreta - la roccia, la spiaggia, il mare intero - è il mezzo primario da cui può iniziare l’evocazione visiva di ciò che è successo. Procedendo per sottrazione, Alziati racconta di ciò che non c’è e che, eppure, possiamo vedere in quanto elementi immaginabili.
Bolaño ci parla invece di una visione evocabile attraverso processi che nulla hanno a che fare con ciò che comunemente può essere visto, in favore di una visione che va cercata, rintracciata, trovata mentre si nascondeva beata lontana da noi, e a cui si può accedere solo se: febbricitanti, poeti, amanti, o memori di qualcosa da ricordare. “Non queste strade, né queste pianure. / Non questi labirinti” danno le visioni del poeta. Il reale, per Bolaño - in antitesi apparente con ogni teoria fotografica - non può rappresentare in alcun modo un varco per la visione - intesa come qualcosa di visto al di là degli occhi e del concreto, come significato puro in un mondo costellato di decadenze fenomeniche. Se Alziati in un’immagine evocata riusciva a vederci il mare, il paesaggio intero, elementi per l’uomo neanche comprensibili col pensiero, Bolaño ci parla dell’aporia a cui siamo destinati di fronte alla realtà, di un vedere che, se non stimolato da specifiche condizioni, resta muto.
Anche nella poesia di Alziati alcuni elementi che abbiamo definito come “intimamente muti” non possono essere racchiusi dentro all’immagine di cui ci narra, perché inimmaginabili o perché in sé aridi e privi di senso. Gli occhi, in quel contesto, sono il mezzo con cui discernere e captare il significato delle cose che incontra, e nella sua fotografia anche elementi impossibili come il mare hanno la possibilità di entrare dentro un’inquadratura.
Per Bolaño pare invece che tutto o nulla possa assumere significato, e che la visione possa sorgere per condizione esistenziale: non può semplicemente capitare come inciampo casuale o ritrovamento fortuito, perché la realtà non basta. La creazione dell’immagine avviene nel poeta senza alcun ausilio esterno.
Il discernimento tra i mondi che possono dare vita a ciò che si vede è, dunque, il punto che per contrasto fa incontrare Bolaño e Alziati; la fusione tra realtà evocata e realtà cercata attraverso di sé generano comunque un riflesso in cui lo sguardo può nascere, una dimensione in cui sapersi, sebbene persi, vivi: “Eppure ero lì.” La nascita di ogni vedere sarà allora il momento in cui si assume questa certezza, la sicurezza di esserci dopo l’eppure, che sia su una roccia o sulla strada dei cani.
Carola Allemandi