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Herbert List e Konstantinos Kavafis di Carola Allemandi


Luce, linguaggio, corpo: in questa triade può essere sintetizzata la relazione tra uno dei più grandi poeti greci del Novecento, Konstantinos Kavafis, e il suo correlativo visivo che prese forma nelle fotografie di Herbert List. Perché creare un legame tra i due autori? All’apparenza la motivazione può essere addirittura banale, in quanto entrambi hanno tradotto nel proprio lavoro l’amore omoerotico profumandolo di cultura ellenica e mitologia classica. Un passo ulteriore è però quello di estrinsecare da questo contenuto comune un’altrettanto comune sintassi, flusso stilistico, semantica esistenziale.Herbert List, tedesco di origine, ambientò in vari punti della Grecia e le sue rovine i suoi scatti più famosi che ritraggono gli amici colti nella spontaneità del loro vivere la giovinezza e la propria fisicità con l’indipendenza altrimenti difficilmente raggiungibile nella loro Germania o, ancora meno, nella loro Inghilterra. I corpi diventano marmi vivi sotto la mano scultorea del sole più alto, apparentemente vera e propria manifestazione del culto diurno: List era molto vicino alla cultura ellenica e voleva evocarne i misteri e i significati attraverso la carne intonsa dei suoi amici, l’eleganza con cui sempre si manifesta agli occhi di chi la guarda rimanendo ammaliato - sacro in greco si definisce con hieròs, forte.Nel sapore di un esilio felice, List è “polìtes”, cittadino ellenico dedito a una familiarità totale coi suoi vivi, giovani dei, riuscendo a immortalare il divino, a guardarlo davvero, a scherzare con lui. Di quanto il linguaggio è in grado di plasmare, allo stesso modo la luce svela e ricopre le porzioni perfette dei momenti da cogliere così come accadono nel loro contesto fisico. La luce di List, prima ancora che strumento per la visione, è essa stessa l’atto del vedere, l’occhio aperto sui simboli del rito. Una fotografia, la sua, che non ha bisogno della trascendenza, trovandola dappertutto, in visioni comunemente raggiungibili, a cui il semplice sguardo può accedere. La fotografia può allo stesso modo essere letta, oltre che vista, alla stessa maniera della poesia, che può essere vista, oltre che letta. Trovare un parallelismo tra questi due mezzi d’espressione può aprire un varco sulla percezione stessa, globalmente intesa come fruizione del mondo esterno e tradotto interiormente in un sentire di rimandi e significati che, consciamente o inconsciamente, si possiedono.Per questo semplice motivo è possibile unire i mondi, e vedere tra i versi di Kavafis i ragazzi di List, fondendo in un unico sguardo i quattro occhi che, pur ignorandosi, hanno lavorato all’unisono.

In “Mare del mattino”, poesia del 1915, si legge:


“Fermarmi qui. Per vedere anch'io un po' di natura.


Luminosi azzurri e gialle sponde

del mare al mattino e del cielo limpido:

tutto è bello e in piena luce.


Fermarmi qui. E illudermi di vederli

(e davvero li vidi un attimo appena mi fermai);

e non vedere anche qui le mie fantasie,

i miei ricordi, le visioni del piacere.”

 

Gli elementi formali che tracciano a chiari segni il contenuto della poesia sono pochi e netti: quelli naturali (il mare, il cielo, le sponde) si contrappongono fluidamente a quelli immateriali e personali dell’autore (fantasie, ricordi, visioni); tre volte si ripete il verbo vedere, tre volte il verbo fermarsi. Allo stesso modo nell’immagine “Mattino” di Herbert List, scattata ad Atene nel 1937, sembra incarnarsi la “visione del piacere” di Kavafis: in tutte le immagini di List la “fermezza” del soggetto è elemento stilistico, facendo sfumare il concetto stesso di movimento, tutto pare immobile e distante dal tempo, colto prima che anche solo l’ipotesi di decadenza possa intaccare i corpi, le ombre stesse. Il dichiarato omoerotismo di entrambi gli autori pare esperito all’insegna del ricordo di un passato ancora da vivere, fermato con la nostalgia propria di chi conosce il termine cui tutte le cose sono costrette, pur vietandosi fermamente di contemplare l’esistenza stessa della morte. Ancora, in “Giorni del 1901” Kavafis scrive:

 

“Questo c’era di singolare in lui:

in mezzo a tutta la dissolutezza

e alla copiosa pratica d’amore,

e sebbene il contegno in consueta

armonia con l’età si componesse,

c’erano istanti – certo, estremamente

rari – che dava il senso

di quasi intatte carni.


Dei suoi ventinove anni la bellezza,

tanto provata dalla voluttà,

stranamente evocava, per attimi, un efebo

che, un po’ goffo, all’amorela

prima volta il casto corpo cede.”

 

La carne intatta, la bellezza efebica, i segni della voluttà incisi in un disegno armonico su un giovane corpo adorato evocano in tutto il ritrovato, seppur precario, equilibrio tra le forze apollinee e dionisiache, tra caos e ordine, cui il pensiero ellenico destinava la sintesi dell’essenza della vita, del cosmo tutto. In questo modo ci si manifesta il giovane ritratto da List nell’immagine “Edouard Dermit sotto l’arazzo di Cocteau Giuditta e Oloferne” del 1948, che in una nudità per un momento ingenua osserva l’opera a parete che lo sovrasta. Se la fotografia vede nell’istante, è vero anche che spesso la poesia vede nel ricordo: la fotografia il ricordo lo crea, la poesia lo sublima. Qualcosa è stato visto, toccato: conservarlo e tradurlo ora in visione monocromatica, ora in parola scritta, può talvolta assolvere la stessa funzione di tenere traccia dei propri passi nel mondo, di quanto i nostri sensi hanno ora visto, ora toccato, e niente più. E’ così che prende forma la semplice immobilità dell’amore: guardandola.

 

Carola Allemandi

 

Per vedere altri scatti del lavoro di Herbert List:https://www.travelling-greece.com/herbert-list/




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