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Gli elementi terrestri e altre poesie di Eunice Odio



Eunice Odio

Gli elementi terrestri e altre poesie - Ed. La vita felice

a cura di Cinzia Marulli e Mario Meléndez

con il patrocino della fondazione Vicente Huidobro

traduzione, selezione e nota critica di Emilio Coco

postfazione di Roxana Elvridge-Thomas


ISBN/EAN 9788893465236



Eunice Odio: la bellezza della poesia plurale

di

Emilio Coco


La Costa Rica è conosciuta da sempre in Europa come la “Svizzera dell’America centrale”, per i suoi alti livelli di educazione, il benessere economico della popolazione, l’assenza di analfabetismo e una spiccata vocazione ecologica. A differenza degli altri paesi dell’Istmo, la Costa Rica gode di una relativa stabilità politica ed è l’unica nazione che si è espressa per l’abolizione dell’esercito fin dal 1948, l’anno dell’ultima guerra civile.

Quando, però, si tratta di parlare di letteratura e di poesia, gli interessi degli studiosi sono concentrati soprattutto su altri paesi come il Guatemala, il Nicaragua o El Salvador e più specificamente sull’opera di Rubén Darío, Ernesto Cardenal, Claribel Alegría, Roque Dalton o del premio Nobel Miguel Ángel Asturias. La poesia di Eunice Odio è rimasta quasi del tutto sconosciuta non solo nell’America latina ma anche all’interno del suo stesso paese. Le ragioni di questa scarsa visibilità sono molteplici, non ultime la mancanza di una critica seria e metodica e la quasi inesistente circolazione dei testi a livello internazionale.  La stessa Eunice Odio era cosciente di trovarsi in una posizione emarginata, un po’ per il suo carattere spigoloso e ribelle, un po’ perché il suo comportamento era inviso alla società del suo tempo, bigotta e maschilista. Il fatto è che la sua opera ha cominciato a essere conosciuta e studiata soltanto dopo la sua morte, avvenuta nel 1974.

Octavio Paz aveva profetizzato: “Tu, cara, sei nella linea di quei poeti che inventano una mitologia propria, come Blake, come Saint-John Perse, come Ezra Pound, e che rimangono fregati perché nessuno li capirà fino a che non saranno passati anni, secoli dalla loro morte”. E così è stato. Il poeta Alfonso Chase ha più volte sottolineato il disprezzo “olimpico e perfetto” di Eunice per tutto ciò che riguardava la cerchia intellettuale del suo paese. A causa di questo atteggiamento, il suo nome suonò come un anatema in Costa Rica, anche dopo la sua morte, e fu soltanto nel 1984, quando si pubblicò la seconda edizione di Gli elementi terrestri, che la sua opera entrò nella lista dei libri di lettura obbligatoria nelle scuole.

Il suo spirito indipendente la portò a litigare con gli intellettuali messicani di sinistra che controllavano gran parte dell’attività culturale e artistica del Messico postrivoluzionario, per aver dichiarato pubblicamente la sua opposizione al comunismo in generale e a Fidel Castro in particolare in una lettera aperta, elogiando la decisione del poeta Carlos Pellicer di abbandonare il partito comunista.

La biografia di Eunice Odio è costellata di atti e di opinioni politiche che a volte possono sembrare provocatori e reazionari. In realtà, ella non faceva altro che battersi per la difesa di un pensiero libero e appassionato, la qual cosa non fu mai accettata e il suo nome fu cancellato dai molti ambienti sinistrorsi dove aleggiava il mito della rivoluzione cubana. Si aggiunga, a questi pregiudizi, la cattiva fama che l’accompagnò per tutta la vita di scrittrice ermetica e incomprensibile e si avrà un quadro abbastanza ampio di una poeta dall’esistenza inquieta, posseduta da una rabbia feroce e insolente che la portò negli ultimi anni ad autodistruggersi con l’alcol, tanto da renderla impresentabile persino ai suoi stessi amici.

Ma nonostante tutto, Eunice amava la vita ed era affascinata dalla luce che si faceva carne di poesia nei suoi versi. Questa donna che scrisse: “Stamattina mi sono svegliata allegra. // Mi è venuta incontro l’allegria / como se io fossi recondita voliera / in non so quale posto di questo momento”, morì nella più completa miseria e solitudine. Il suo cadavere fu trovato nella vasca da bagno di casa sua, dopo diversi giorni dalla sua morte, in uno stato avanzato di putrefazione. Non si è mai saputo se il suo decesso fu dovuto ai suoi problemi con l’alcol, se si suicidò o se fu assassinata. La cosa certa è che i suoi funerali passarono del tutto inosservati.

Le prime composizioni di Eunice Odio si inseriscono nella tradizione di una poesia centrata sui temi domestici della fanciullezza e della maternità, senza che questo implichi un rifiuto dei nuovi processi lirici che si stanno manifestando in tutta l’America latina. E tuttavia, pur lasciandosi contaminare dalle poetiche avanguardiste e moderniste, non ha mai praticato una poesia di completa rottura con quella tradizionale. La conciliazione dei due mondi è appunto una caratteristica essenziale del suo poetare.

In un secondo momento, a partire dalla pubblicazione di Gli elementi terrestri, notiamo un avvicinamento di Eunice al surrealismo, ma senza che esso si converta nell’estetica dominante, giacché la sua poesia è caratterizzata da una molteplicità di codici estetici che la rendono inclassificabile, e tra questi trova posto il movimento surrealista che lei stessa definisce come “una necessità autentica, un imperativo categorico”. E aggiunge: “Per esercitare la libertà di fare ciò che ci sentiamo di fare, non c’è, nell’arte, niente di meglio del surrealismo. Esso non mette ostacoli all’immaginazione, né al valore personale né a nessuna delle qualità spirituali, né a nulla di ciò che consideriamo immensamente bello e prezioso”.

Nella fitta corrispondenza che Eunice Odio mantenne con il poeta Juan Lescano, direttore della rivista venezuelana Zona Franca, troviamo delle lettere di grande valore letterario e che sono delle interessanti riflessioni sulla funzione della poesia, sul suo processo di scrittura e sulla difesa della sua estetica, con la concezione del poeta prolifero e plurale che entra in contatto con le forze dinamiche dell’umanità, diventa un tutt’uno con esse, poeta “pluránimo”, secondo un neologismo da lei stessa coniato, con cui esprime tutta la sua concezione filosofica dell’esistenza, nel senso dell’onnipresenza, o come la stessa Eunice dice: “Se un poeta non è la somma di tutti gli animi, va tutto male”.

Un altro aspetto fondamentale della sua poesia è la presenza, soprattutto in Gli elementi terrestri, del sacro e del religioso che si arricchisce con l’introduzione di elementi erotici e trasgressivi e con i simboli della liturgia cristiana, reinventati e trasgrediti, con l’esplorazione di temi che riguardano la maternità frustrata, la libertà sessuale, la passione, il tutto pervaso da un lirismo erotico-mistico in cui sono evidenti gli influssi della Bibbia e più specificamente dei Salmi, del Cantico dei Cantici, di San Giovanni della Croce e persino di Santa Teresa d’Ávila. Un’altra costante importante di quest’opera è rappresentata dal tema del corpo, visto come un frutto in più della natura, come un uccello o una montagna; e in piena natura mitica situa i suoi personaggi che si fondono col paesaggio circostante, in uno spazio aperto e terrestre, e mai in una stanza chiusa o in una città.

Eunice era una donna bellissima che suscitava ammirazione ovunque andasse. Non molto alta, dal corpo felino, occhi verdi di gatta, capelli rossicci, piena di grazia e di fascino. Il suo stile di donna si può paragonare a quello di colei che fu chiamata” l’animale più bello del mondo”: Ava Gardner. Nella biografia che le dedicò Tania Pleitez Vela, troviamo scritto: “Anche se la sua bellezza fisica era venerata, la sua forma di essere libera e stravagante cozzava con i costumi e le convenzioni dell’epoca, per cui non le furono risparmiati giudizi severi”.

“Personaggia” l’avrebbe definita, ammirato, Gonzalo Rojas. “La grande poeta delle Americhe” la chiamò Alfonso Reyes, in un’epoca in cui il sostantivo abituale per definire la donna che si dedicava a quest’arte, era “poetessa”. Se nel panorama della letteratura dell’America latina, scritta da donne, ci sono alcuni nomi che dovrebbero figurare in prima fila, accanto alla cilena Gabriela Mistral, dobbiamo senz’altro mettere la costaricana-messicana di ascendenza basco-navarra e catalana Eunice Odio.



Poema primero


Posesión en el sueño


Ven

Amado


Te probaré con alegría.

Tú soñarás conmigo esta noche.


Tu cuerpo acabará

donde comience para mí

la hora de tu fertilidad y tu agonía;

y porque somos llenos de congoja

mi amor por ti ha nacido con tu pecho,

es que te amo en principio por tu boca.


Ven

Comeremos en el sitio de mi alma.


Antes que yo se te abrirá mi cuerpo

como mar despeñado y lleno

hasta el crepúsculo de peces.

Porque tú eres bello,

hermano mío, eterno mío dulcísimo,


Tu cintura en que el día parpadea

llenando con su olor todas las cosas,


Tu decisión de amar, de súbito,

desembocando inesperado a mi alma,


Tu sexo matinal

en que descansa el borde del mundo

y se dilata.


Ven

Te probaré con alegría.


Manojo de lámparas será a mis pies tu voz.

Hablaremos de tu cuerpo

con alegría purísima,

como niños desvelados a cuyo salto

fue descubierto apenas, otro niño,

y desnudado su incipiente arribo,

y conocido en su futura edad, total, sin diámetro,

en su corriente genital más próxima,

sin cauce, en apretada soledad.


Ven

te probaré con alegría.


Tú soñarás conmigo esta noche,

y anudarán aromas caídos nuestras bocas.


Te poblaré de alondras y semanas

eternamente oscuras y desnudas.



Primo poema


Possesso nel sogno


Vieni

Amato


Ti proverò con gioia.

In questa notte tu mi sognerai.


Finirà il tuo corpo

dove per me comincia

l’ora della tua fertilità e della tua agonia;

e poiché siamo carichi d’angoscia

il mio amore per te è nato col tuo petto,

ma è per la tua bocca che t’amo innanzitutto.


Vieni

Mangeremo nel posto della mia anima.


Prima di me ti si aprirà il mio corpo

come un mare precipitato e pieno

fino al crepuscolo di pesci.

Perché, fratello mio,

tu sei bello, eterno mio dolcissimo,


La tua cintura in cui risplende il giorno

impregnando ogni cosa col suo odore,


La tua scelta di amare, all’improvviso,

sfociando inaspettato nella mia anima,


Il tuo sesso mattutino

dove riposa il margine del mondo

e si dilata.


Vieni

Ti proverò con gioia.


Sarà un fascio di lampade la tua voce ai miei piedi.


Parleremo del tuo corpo

con purissima gioia,

come bambini insonni nel cui salto

si è appena palesato un altro bimbo,

e rivelato il suo imminente arrivo,

conosciuto nella sua età futura, del tutto, senza limiti,

nella sua genitale corrente più vicina,

senz’alveo, in serrata solitudine.


Vieni

ti proverò con gioia.


In questa notte tu mi sognerai,

ed avremo le bocche colme di sparsi aromi.


Ti riempirò di allodole e di oscure

e nude settimane eternamente.



Poema segundo


Ausencia de amor


I


Amado

en cuyo cuerpo yo reposo,


Cómo será tu sueño

cuando yo te he buscado sin hallarte.


Oh,

Amado mío, dulcísimo

como alusión de nardo

entre aromas morenos y distantes,


Cómo será tu pecho cuando te amo.


Cómo será encontrarte cuando es amor tu cuerpo

y tu voz,

un manojo de lámparas.


Amado,

Hoy te he buscado

por entre mi ciudad

y tu ciudad extraña,

donde los edificios

no se alegran al sol,

como frutales conchas

y celestes cabañas.


Y andaba yo

con un crepúsculo enredado entre la lengua,


Con aire de laguna

y ropa de peligro.


Me vio desde su torre

un auriga de jaspe,

Yo te andaba buscando

por entre el verde olor de sus caballos,


Por entre las matronas

con pañales y pájaros;


Y pensando en tu boca

reposaban mis ojos,

como palomas diurnas

entre hierbas amargas.


Y te buscaba entonces

por las inmediaciones de mi cuerpo.


Tú me podías llegar

desde el suceso cálido.



Secondo poema


Assenza d’amore


I


Amato

nel cui corpo io riposo,


Come sarà il tuo sogno

quand’io senza trovarti t’ho cercato.


Oh,

Amato mio, dolcissimo

come odore di nardo

in mezzo a scuri e lontani profumi,


Come sarà il tuo petto quando t’amo.


Come sarà trovarti quando è amore il tuo corpo

e un fascio di luce

è la tua voce.


Amato,

Oggi io t’ho cercato

dentro la mia città

e la tua città estranea,

dove gli edifici

non gioiscono al sole,

come gusci di frutti

e celesti capanne.


E io andavo

con un tramonto avvolto nella lingua,


Con aria di laguna

e abiti insicuri


Mi vide dalla torre

un auriga di diaspro,


Io ti stavo cercando tra l’odore

verde dei suoi cavalli,


Tra le matrone

con pannolini e uccelli;


Pensando alla tua bocca

i miei occhi riposavano

come colombe diurne

tra erbe amare.


E ti cercavo allora

nei pressi del mio corpo.


Potevi a me arrivare

dal caldo avvenimento.



Yo quisiera ser niña


Yo quisiera ser niña

para acoplar las nubes a distancia

(claudicadoras altas de la forma),


para ir a la alegría por lo pequeño

y preguntar,

como quien no lo sabe,

el color de las hojas.

¿Cómo era?


Para ignorar lo verde,

el verde mar,

la respuesta salobre del ocaso en retirada,

el tímido gotear de los luceros

en el muro del vecino.


Ser niña

que cayera de pronto

dentro de un tren con ángeles,

que llegaban así, de vacaciones,

a correr un poquito por las uvas,

o por nocturnos

fugados de otras noches

de geometrías más altas.


Pero ya, ¿que he de ser?

Si me han nacido estos ojos tan grandes

y esos rubios quereres de soslayo.

Cómo voy a ser ya

esa que quiero yo

niña de verdes,

niña vencida de contemplaciones,

cayendo de sí misma sonrosada...


si me dolió muchísimo decir

para alcanzar de nuevo la palabra

que se iba,

escapada saeta de mi carne,


y me ha dolido mucho amar a trechos

impenitente y sola

y hablar de cosas inacabadas,

tintas cosas de niños,

de candor disimulado,

o de simples abejas,

enyugadas a rosarios tristes.


O estar llena de esos repentes

que me cambian el mundo a gran distancia.


Cómo voy a ser ya,

niña en tumulto,

forma mudable y pura,

o simplemente, niña a la ligera,

divergente en colores

y apta para el adiós

a toda hora.


Io vorrei essere bambina


Io vorrei essere bambina

per accoppiare le nuvole a distanza

(che fanno a meno in alto della forma),


per giungere alla gioia delle piccole cose

e chiedere,

come chi non lo sa,

il color delle foglie.

Come era?


Per ignorare tutto ciò che è verde,

il verde mare,

la risposta salmastra del tramonto in ritirata,

il timido gocciolare delle stelle

sul muro del vicino.


Essere bambina

che cada all’improvviso

in un treno con angeli,

che arrivavano così, per le vacanze,

a correre un poco fra le uve,

o fra notturni

scappati da altre notti

di geometrie più alte.


Ma ormai, che cosa devo essere?

Se mi sono nati questi occhi così grandi

e questi biondi amori di traverso.

Come sarò ormai

quella che io voglio

bambina di verdi,

bambina vinta da contemplazioni

e che cade da sé stessa rosea…


se mi dolse moltissimo dire

per raggiungere di nuovo la parola

che se ne andava,

freccia fuggita via dalla mia carne,


e mi è doluto molto amare a tratti

impenitente e sola

e parlare di cose non compiute,

le colorate cose di bambini,

di un velato candore

o di semplici api

aggiogate a rosari tristi.


O essere piena di quegli impeti

che mi cambiano il mondo a una grande distanza.


Como potrò ormai essere,

bambina in tumulto,

forma mutevole e pura,

o soltanto bambina alla leggera,

divergente in colori

e adatta per l’addio

a ogni ora.


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