Tutto l'amore è sogno di Eduardo Lizalde
Eduardo Lizalde
Il miglior aureo sogno dell’argento - Ed. La vita felice 2021
A cura di Marulli Cinzia e Mario Meléndez
con il patrocinio della fondazione Vicente Huidobro
Traduzione di Emilio Coco
Presentazione e selezione di Mario Bojórquez
ISBN/EAN 9788893464543
Eduardo Lizalde e la poesia del risentimento
di
Mario Bojórques
Quando leggiamo una poesia stiamo leggendo tutta la poesia universale. Questo lavoro in collaborazione coinvolge la lingua e l’esperienza vitale dell’uomo sulla terra. Quando leggiamo un poeta, leggiamo anche quegli altri che hanno dato testimonianza della loro vita e, inoltre, le poesie che non sono state ancora scritte da autori che non sono ancora nati.
Nella poesia di Eduardo Lizalde troviamo tracce inequivocabili dell’opera del poeta messicano Ramón López Velarde. Quest’influenza è stata analizzata e commentata dalla critica a partire dalla pubblicazione di El tigre en la casa, che ora compie cinquant’anni dalla sua pubblicazione presso l’Università di Guanajuato nel 1970, e che è stata confermata successivamente da Caza Mayor, La zorra enferma, Otros tigres, A la caza del tigre e da altri titoli.
Si è detto che la figura della tigre è arrivata a Borges da William Blake e a Lizalde da Rubén Darío. Di Borges conosciamo il suo gusto per la trocaica tigre che è “ardente e luminosa / nella foresta della notte” e di Lizalde ricordiamo il dialogo con Darío in “le fiere si accarezzano, Rubén, / sotto le vaste selve primitive” che ci riportano alla poesia “Estival”. Tuttavia crediamo che è dal testo Obra maestra di Ramón López Velarde che discende la sua filiazione finale. Vicente Quirarte ha annotato agli inizi degli anni novanta: “Il tigre è il grande mendicante cosmico, lo scapolone lopezvelardeano, quello di inaudita bellezza che attrae e che ripugna” e in un altro momento Ramón Xirau si riferisce così a El tigre en la casa: “Nasce, adesso vicina a López Velarde ‒ nuovamente punto di partenza ‒ ‘l’amata’, ma sorge nel ‘risentimento’. Si tratta di un ri-sentimento, un nuovo sentire?”. Sì, ci sembra che si tratti di un nuovo sentire, pensiamo che la poesia di Eduardo Lizalde abbia rinnovato il discorso amoroso nella poesia spagnola contemporanea, sia riuscita ad iniettarle quella ferocia che viene da Obra maestra, quella disperazione che nella vertigine s’inabissa, quel girare sul segno dell’infinito. Disperato, furioso, collerico, conoscitore della potenza che la natura ha messo nel suo seme, ma contrariato nello stesso tempo per non aver raggiunto la perfezione, l’indigenza spirituale che in grappoli d’ira lacera le pareti dell’anima, innesta grinfie di amaro e dorato odio. Se in El tigre en la casa la cagna enorme ha dato all’alano fedele prole di scrofa, in Caza Mayor la tigre distruggerà la cucciolata e condividerà con il tigre reale, il padrone, il sole, il solo, il celibe, le tenere carni dell’infanticidio. In López Velarde leggiamo: “Il tigre misurerà un metro. La sua gabbia avrà qualcosa in più di un metro quadrato. La fiera non si concede un attimo di riposo. Ebreo errante su sé stesso, descrive il segno dell’infinito con una tale meccanica fatalità che la sua coda, a furia di batterla contro le sbarre, sanguina da una sola parte. Il celibe è il tigre che scrive gli otto sul pavimento della solitudine”. Ed ecco come viene descritta la ferocia del tigre di Eduardo Lizalde, la sua cruda furia che distrugge perché la pietà non è un attributo della bellezza, ecco la sua meccanica fatalità, i suoi ingrassati ingranaggi di odio e di piacere rancoroso, ecco il ritratto del tigre-celibe: “Il tigre in calore / è come un pozzo di seme, / come un braccio di fiume; / più di cinquanta volte in un sol giorno / copula scaricandosi a lungo sulla femmina, / come un cielo infiammato in estasi perpetua, / una tempesta di erezioni.”
Un poeta romantico messicano quasi sconosciuto dalle nuove generazioni, un autore che possiamo definire di culto, è forse una delle fonti del linguaggio ingiurioso nella poesia messicana. Molti nostri poeti hanno stabilito una sorta di dialogo con l’opera di Antonio Plaza, ma sarà senz’altro il poeta Eduardo Lizalde che meglio rifletterà quest’influenza letteraria. Il suo libro El tigre en casa conserva tratti ben definiti della scrittura di A una ramera, il tema dell’amata come l’essere più vile e vizioso: in Plaza, la prostituta, in Lizalde, la cagna: “La cagna più immonda / è un nobile giglio al suo confronto. / Si venderebbe per pochi spiccioli / a un furbone. / È prostituta vile, / scaltra troia, / e a quattro anni aveva / l’anima già marcia. / Ma ecco qual è il suo peggior difetto: / sono per lei l’ultimo / degli uomini”.
Mentre in Antonio Plaza riconosciamo la devozione amorosa per un essere macchiato dal disprezzo sociale, in Eduardo Lizalde questa visione si è ammodernata, incide sul destino di un uomo che ha dovuto affinare il suo amoroso abbandono per qualcuno verso il quale egli stesso sente quel disprezzo: “Amami anche tu! Sarò il tuo schiavo, / il tuo povero cane che ovunque ti seguirà. / Sarò felice se col mio sangue lavo / la tua impronta, anche se nel seguirti mi perseguita ridicolo e mi disonora; alla fine, alla fine, / non m’importa niente quel che il mondo dirà. / Non m’importa niente la tua macchiata storia / se attraverso i tuoi occhi vedo la gloria.”
Nelle poesie “Lamento per una cagna” e “La città ha perso la sua Beatrice”, Eduardo Lizalde va ben oltre l’uso violento del linguaggio, con espressioni che causano stupore nel lettore sorpreso: “Anche la povera puttana sogna. / La più infame e sporca, / e rozza, e stolta e goffa, / gonfia, zoppa e sorda puttana, / sogna.” Con espressioni di amara e acida disillusione snocciola il repertorio di ingiurie: “spregevole cagna”, “fogna ambulante”, “cagna ignobile”, “cagna senza limiti”, “cagna impune” e persino le prostitute al confronto di questa cagna sono viste come decorose signorine: “Grandi etere, / quanto piccole siete al suo confronto! / quanto spregevoli, / quanto pure”. Al contrario di Lizalde, Antonio Plaza ottiene un miscuglio agrodolce di ingiurie e devozione malata, evidenziato nell’uso del contrasto. Così come in Petrarca, riconosciamo il tema dei contrari nell’amore nella sua “Pace non trovo”, dove a ogni proposizione positiva nel discorso corrisponde una proposizione negativa nei suoi valori più eminentemente morali: “Donna preziosa per il bene nata, / Donna preziosa da me mal trovata, / Perla dal soglio del Signor caduta / E in una fogna immonda seppellita; / Candida rosa nell’Eden cresciuta / viene sfogliata dalle mani infami, / Cigno dal dolce collo alabastrino / cantando in indecente baccanale.”
Una delle figure plastiche più impressionanti nell’opera di Eduardo Lizalde è la mutilazione e la lacerazione, come nella poesia 3 del “Ritratto parlato della fiera”, dove dice “che l’amore era una fiera lentissima: / mordeva con le zanne zuccherate / e addolciva il moncone nello staccare il braccio.”, o nella poesia “Bellissima” di La zorra enferma dove afferma: “Se fosse solo un poco meno bella, / se avesse solo un piccolo difetto, / un dito mutilato ed evidente”. E più avanti insiste: “e mi dispero volendo capire / che anche se mutilata sarebbe ancor più bella / come certe statue”.
Il riferimento messicano a quest’uso poetico in cui si uniscono bellezza e mutilazione lo possiamo trovare in una bella poesia, “Delicta carnis”, di Amado Nervo, dove il poeta di Nayarit si duole pregando per la sua anima che si perde fra i tormenti della passione carnale, respinge l’Afrodite impura per raggiungere la calma dei giusti, ma nei suoi sogni spaventosi, la Venere di Milo lo insegue: “E non trovo speranza, né rifugio né asilo, / e nelle mie notti, piene di febbrili chimere, / mi insegue l’immagine della Venere di Milo, / con i suoi lattei monconi, col suo volto tranquillo / e le curve trionfali dei suoi ampi fianchi.”
La poesia di Eduardo Lizalde ha tracciato una linea di estrema bellezza e orrore nella poesia iberoamericana, dal suo primo libro La mala hora del 1956 fino a Algaida del 2004. La sua opera è stata raccolta in volumi singolarissimi come le prose del Manual de flora fantástica del 1997 o l’elegia Tercera Tenochtitlan del 1983. Questi libri e altre poesie sparse sono state poi riunite in Nueva Memoria del Tigre del 2005.
Quando leggiamo una poesia, leggiamo anche di nuovo l’uomo nella sua semplicità, nella modesta convenzionalità non eroica dei suoi infiniti atti, leggiamo in quel verso la stessa pulsione che ha governato il battito dell’aedo, e leggiamo il poeta futuro, quello che ritornerà a cantare con nuovi accenti le melodie antiche. Quando ci avviciniamo all’opera di un poeta vero, come Eduardo Lizalde, ci avviciniamo alla storia dell’anima umana.
Poema del agua blanda
El viejo guerrero Aquiles,
era un hombre invulnerable,
pero uno de sus talones
era débil; lo demás
de su cuerpo semejaba
una armadura de carne,
una concha que lo hacía
parecerse a la tortuga;
y además, como el guerrero
fue un rápido corredor,
Aquiles era una mezcla
como de liebre y tortuga.
En la carne de los pobres
no sólo el talón es frágil:
ellos tienen todo el cuerpo
construido con talones;
por todas partes el hambre
los puede herir, pues carecen
de la coraza de Aquiles:
lentos son como tortugas,
vulnerables como liebres.
Pero no siempre el hierro ha de vencer.
Las rocas han dado al agua tantos cortes,
que la han hecho más líquida, más blanda,
han dejado tan débil su epidermis
que es muy fácil herirla:
la lengua del venado hiere el agua
sin siquiera sangrar,
una sola mirada indiferente
penetra varios metros en el agua
más turbia;
pero, a la larga, el agua,
espumosa y repentina como el perro bravo,
hace huir a las rocas del océano
hasta la costa,
las redondea y las pule para que a nadie
muerdan sus filos.
(De La mala hora, 1956)
Poesia dell’acqua dolce
Il vecchio guerriero Achille
era un uomo invulnerabile
ma uno dei suoi talloni
era debole; il resto
del suo corpo assomigliava
a un’armatura di carne,
una conchiglia che lo faceva
sembrare una tartaruga;
e poi, siccome il guerriero
era veloce nella corsa,
Achille era come un misto
di lepre e tartaruga.
Nella carne dei poveri
non solo il tallone è fragile:
essi hanno tutto il corpo
costruito con talloni;
la fame li può ferire
ovunque, perché non hanno
la corazza di Achille:
sono lenti come tartarughe,
vulnerabili come lepri.
Ma non sempre il ferro deve vincere.
Gli scogli hanno fatto all’acqua tanti tagli
da renderla più liquida, più dolce,
le hanno lasciato la pelle così debole
che è molto facile ferirla:
La lingua del cervo ferisce l’acqua
senza neanche sanguinare,
un solo sguardo indifferente
penetra per diversi metri nell’acqua
più torbida;
ma, a poco a poco, l’acqua
schiumosa e repentina come un cane feroce
fa fuggire gli scogli dall’oceano
fino alla costa,
li arrotonda e li leviga perché le loro punte
non mordano nessuno.
(Da La mala hora, 1956)
Hay un tigre en la casa
que desgarra por dentro al que lo mira.
Y sólo tiene zarpas para el que lo espía,
y sólo puede herir por dentro,
y es enorme:
más largo y más pesado
que otros gatos gordos
y carniceros pestíferos
de su especie,
y pierde la cabeza con facilidad,
huele la sangre aun a través del vidrio,
percibe el miedo desde la cocina
y a pesar de las puertas más robustas.
Suele crecer de noche:
coloca su cabeza de tiranosaurio
en una cama
y el hocico le cuelga
más allá de las colchas.
Su lomo, entonces, se aprieta en el pasillo,
de muro a muro,
y sólo alcanzo el baño a rastras, contra el techo,
como a través de un túnel
de lodo y miel.
No miro nunca la colmena solar,
los renegridos panales del crimen
de sus ojos,
los crisoles de saliva emponzoñada
de sus fauces.
Ni siquiera lo huelo,
para que no me mate.
Pero sé claramente
que hay un inmenso tigre encerrado
en todo esto.
(De El tigre en la casa, 1970)
C’è un tigre nella casa
che lacera all’interno chi lo guarda.
Ha solamente artigli per colui che lo spia,
e solo può ferire all’interno,
ed è enorme:
più lungo e più pesante
di altri grossi gatti
e predatori pestiferi
della sua specie,
e con facilità perde la testa,
odora il sangue anche attraverso il vetro,
dalla cucina fiuta la paura
nonostante le porte più robuste.
È di notte che cresce:
mette la testa di tirannosauro
sopra un letto
col muso che gli pende
ben oltre le coperte.
Il dorso si dilata per tutto il corridoio,
da parete a parete,
e solo arrivo al bagno strisciando sul soffitto
come attraverso un tunnel
di fango e miele.
Non guardo mai l’alveare solare,
i favi anneriti dal crimine
dei suoi occhi
i crogioli di saliva avvelenata
delle sue fauci.
Non lo annuso neppure
affinché non mi uccida.
Però so chiaramente
che c’è un immenso tigre segregato
in tutto questo.
(Da El tigre en la casa, 1970)
El amor es otra cosa, señores
Uno se hace a la idea,
desde la infancia,
de que el amor es cosa favorable
puesta en endecasílabos, señores.
Pero el amor es todo lo contrario del amor,
tiene senos de rana,
alas de puerco.
Mídese amor por odio.
Es legible entre líneas.
Mídese por obviedades,
mídese amor por metros de locura corriente.
Todo el amor es sueño
‒el mejor áureo sueño de la plata‒.
Sueño de alguien que muere,
el amor es un árbol que da frutos
dorados sólo cuando duerme.
(De El tigre en la casa, 1970)
L’amore è un’altra cosa, signori
Ci si abitua all’idea
fin dall’infanzia,
che l’amore è una cosa favorevole
messa in endecasillabi, signori.
Però l’amore è tutto l’opposto dell’amore
con i seni di rana
e ali di porco.
Si misuri l’amore solo attraverso l’odio.
Tra le righe è leggibile.
Si misuri dalle banalità,
si misuri l’amore con il metro d’ordinaria follia.
Tutto l’amore è sogno
‒ il miglior aureo sogno dell’argento ‒.
Sogno di uno che muore,
è un albero l’amore che dà frutti
dorati solamente quando dorme.
(Da El tigre en la casa, 1970)