Ingeborg Bachmann - due poesie selezionate e tradotte da Anna Maria Curci
50 anni fa, il 17 ottobre 1973, moriva a Roma Ingeborg Bachmann. Per ricordarla, ho scelto di pubblicare qui due suoi testi – il primo appartenente al gruppo delle poesie giovanili, il secondo tratto dalla raccolta Die gestundete Zeit (“Il tempo prorogato”) - nella mia traduzione (Anna Maria Curci)
[A sera chiedo a mia madre]
A sera chiedo a mia madre,
in segreto, dello scampanio,
com’io debba interpretare il giorno
e preparare la notte.
Nel profondo esigo sempre
di narrare proprio tutto,
di assortire in accordi
ciò che in suoni mi lambisce.
In silenzio, insieme, tendiamo l’orecchio:
mia madre torna a sognarmi
e coglie, come antichi canti,
il modo maggiore e minore della mia natura.
Ingeborg Bachmann
(Traduzione di Anna Maria Curci)
[Abends frag ich meine Mutter]
Abends frag ich meine Mutter
heimlich nach dem Glockenläuten,
wie ich mir die Tage deuten
und die Nacht bereiten soll.
Tief im Grund verlang ich immer
alles restlos zu erzählen,
in Akkorden auszuwählen,
was an Klängen mich umspielt.
Leise lauschen wir zusammen:
meine Mutter träumt mich wieder,
und sie trifft, wie alte Lieder,
meines Wesens Dur und Moll.
Ingeborg Bachmann
(edizione di riferimento: I.B., Sämtliche Gedichte, Piper Verlag 2005, p. 20)
Pubblicata per la prima volta senza titolo nel 1948 nella rivista “Lynkeus”, appare tra le poesie giovanili (Jugendgedichte) del lascito nel volume I dell’opera completa, apparso postumo nel 1978).
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Messaggio
Dall'atrio caldo di cadaveri del cielo incede il sole.
Lì non ci sono gli immortali,
ma i caduti, udiamo dire.
E lo splendore non bada a decomposizione. La nostra divinità,
la storia, ci ha riservato un sepolcro
dal quale non c'è resurrezione.
Ingeborg Bachmann
(traduzione di Anna Maria Curci)
Botschaft
Aus der leichenwarmen Vorhalle des Himmels tritt die Sonne.
Es sind dort nicht die Unsterblichen,
sondern die Gefallenen, vernehmen wir.
Und Glanz kehrt sich nicht an Verwesung. Unsere Gottheit,
die Geschichte, hat uns ein Grab bestellt,
aus dem es keine Auferstehung gibt.
Ingeborg Bachmann
(da: Die gestundete Zeit, Frankfurt 1953; edizione di riferimento: I.B., Sämtliche Gedichte, p. 59)