Vediamo subito che cosa è la luce per Luca Benassi: «… è scoppio, un interrotto brivido / che accende e dilania / e poi non è più / nell’occhio molle del temporale».
Una dichiarazione di poetica? Un avvertimento? Una considerazione? La presa di coscienza della dissolvenza del mondo che appare e poi fugge, ma restando «un interrotto brivido»?
Ed è questo ininterrotto brivido che detta e avvolge le parole, le rende carne viva di incontri indimenticabili, quelli che sono diventati la sostanza e la verità dell’intera vita, che hanno cambiato volto al passo, alla vista, al cuore.
Una premessa per cercare di entrare nei versi di Benassi a occhi aperti, diversamente si perderebbero le coordinate di momenti che assumono valenze simboliche e sono, a un tempo, memoriale per stabilire l’essenziale dell’anima, per coagulare i brividi e le emozioni e cercare di capirne il senso e la valenza, il lievito e la fattibilità.
Non è casuale che il titolo del libro sia stato mutuato dai manuali. Insomma, vediamo in che consistono queste istruzioni e se dobbiamo farci guidare da esse oppure respingerle, litigarci, vederne anche il lato oscuro e quello che si rifrange nelle assenze o si disperde nei quadrivi della quotidianità.
Vorrei sottolineare che la poesia di Benassi, pur essendo lucidissima e coltissima, forbita ed esplicativa, non nasce mai da una predeterminazione o da un progetto stabilito, ma nasce da abbagli e da abbacinamenti che egli sa decifrare e rendere sostanza di parola che raccoglie sensazioni e calore umano, sogni mai alla deriva e visioni che sono una estensione del vissuto.
Si noti che in nessuno dei componimenti c’è un aggettivo improprio, un’indicazione fuorviante, una tentazione per affermare perentoriamente il cammino compiuto. Perché è tutto sempre da compiere, sempre sul punto di rinascere e di aprire altre strade, altri connubi.
Eppure, il poeta è stato in stretto contatto con letterati e scrittori di varie generazioni e di vari Paesi del mondo, con critici e studiosi insigni ed ha viaggiato e ha vissuto nella pienezza di incontri e di letture di grande interesse. Ma non si è fatto scalfire da ciò che ha ritenuto esterno a sé stesso, da ciò che poteva rendere la portata del suo dettato qualcosa che non aderiva alla complicità instaurata con la polla sorgiva della spiritualità mutuata dal sogno e da una sorta di concerto sentito come dono divino che gli ha permesso di poter conoscere la luce.
Esatto, conoscere la luce, e diventare addirittura un istruttore che, avvertendo che «inizia l’assedio delle ombre» è costretto a imparare come districarsi nel momento in cui la «piena del sole… ci invade».
Raramente, soltanto in Mario Luzi, in T. S. Eliot, in Wislawa Szymborska, ho trovato questa capacità di saper assemblare realtà contrastanti, momenti che hanno, a un tempo, peso realistico e felicità espressiva metafisica. Benassi affronta una varietà immensa di temi e quasi quasi non ci fa accorgere che passa dal peso di un realismo nutrito perfino di cronaca alla leggerezza metafisica che rende tutto un sussultare di indicazioni aperte al magma del divenire.
Una poesia a tratti legata perfino alla filosofia, ma senza esserne chiusa o raffreddata, anzi accesa dal mistero del ragionamento che ha sfumature civili. Dico sfumature perché la limpidezza del dettato non si adagia mai nelle briglie della sociologia e così l’accento è comunque lirico, da apparentare alla naturalezza foscoliana, forse anche un tantino borgesiana.
Un altro degli aspetti che affascinano di questo libro è la densità sia tematica e sia linguistica. Una densità che chiamerei circolare, ricca di suggerimenti appena accennati, di “proposte” che hanno qualcosa di spirituale e tuttavia non impongono.
La fluidità di Benassi nasce probabilmente dalla necessità interiore di non voler staccare il filo che lega l’imponderabile alla concretezza e farne una compattezza affascinante. Nella bellissima prefazione di Elio Pecora questo aspetto viene ricalcato («questa di Luca Benassi è un’opera compatta nel segno alto e aperto della compassione») perché dimostra la capacità del poeta di saper coagulare la “quantità” con la qualità. Il risultato è una poesia ariosa, salda e ponderata, mai alta nei toni ma altissima nei motivi, e nella bellezza del verso, giustificata da «una luce che abbaglia / da una porta di alluminio / che pare condurre al tutto». (Dante Maffìa)
(amare, uscendo dall’osteria)
E poi ci sono i tavoli di osteria, i bicchieri
che rimandano scaglie di purezza
nel tintinnare tagliente dei coltelli,
la bottiglia d’acqua fuori frigo,
i tovaglioli gialli, la linea curva della fronte
che si frange sulla punta
che divide i tuoi capelli.
Già la strada sembra un grido di vento
un azzurro ingolfato fra le chiese
a levigarti il sorriso sopra il volto
che risplende nella piena del sole
che ci invade.
(via Grotta del Miracolo)
I temporali, da queste parti
sono nuvole cucite all’attesa
alle vene celesti del cielo,
per bagnare le labbra asciutte della pietra.
Abbiamo attraversato i fulmini dello sguardo
ci siamo cercati fra le gocce
nell’elettricità degli occhi.
Il resto è stato un fuggire di bimbi,
uno trovare scampo sotto gli ombrelloni,
un chiudere le finestre, tirare giù serrande,
un tremare allo schianto del tuono.
Tu sei in quest’acqua che scroscia
rumorosa dalle gronde,
penetra la terra come un dovere
e scorre come un bacio di latte
sulla pelle rossa delle tegole
di questo petto che si fa casa.
(via Grotta del Miracolo)
Il mare, da qui, ricorda la schiena del cielo
mentre si china a guardare i figli
giocare come farfalle fra la terra e il muro.
Questa terrazza serve a rubare i baci,
a riposare lo sguardo
sulla linea celeste dell’orizzonte,
a sentire il sapore del vento
che gonfia i costumi come vele,
messi ad asciugare alla ringhiera
per prendere il largo e chiudere
il cuore da ogni lato.
Luca Benassi è nato a Roma nel 1976 dove vive e lavora. Ha pubblicato sei raccolte di poesia, l’ultima delle quali istruzioni per la luce è uscita per Passigli nel 2021. Ha pubblicato antologie poetiche in giapponese (insieme alla poetessa Maki Strfield, edizione e-book, 2016), spagnolo (2018), macedone (edizione bilingue, 2019) e serbo (2019). Ha tradotto De Weg del poeta fiammingo Germain Droogenbroodt (Il Cammino, 2002). Nel 2010 ha dato alle stampe la raccolta di saggi critici Rivi strozzati poeti italiani negli anni duemila. Ha curato le opere antologiche complessive di Cristina Annino (Magnificat. Poesia 1969 – 2009, 2009), Achille Serrao (Percorsi nella poesia di Achille Serrao, 2013) e Dante Maffìa (La casa dei Falconi, poesia 1974-2014, 2014).
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