foto di Dino Ignani
A distanza di tredici anni dalla pubblicazione de Il Realismo Terminale di Guido Oldani, i temi posti, hanno iniziato a produrre significativi interrogativi, e confronti di carattere culturale che cominciano ad avere riferimenti anche oltre l’ambito poetico. Le cosiddette “rubriche” di poesia, presenti più o meno quotidianamente sulle pagine culturali dei giornali o blog dedicati, hanno avuto modo di occuparsi dell’agile libretto, edito da Mursia. Alcune riviste di poesia hanno anche ritenuto di dover affrontare o, meglio, scrivere, dei molteplici profili che l’argomento solleva anche sulla vicenda del “canone”. Provo qui a riprendere l’argomento e se possibile condividere alcune mie riflessioni.
La galassia degli oggetti occupa in questo nostro tempo una posizione centrale; pertanto, è nei possibili indirizzi poetici che possono essere trovati riferimenti e considerazioni sul tema: Oldani porta alle estreme conseguenze questa possibilità fino a proporla con riferimento al “Canone Poetico”. Anche se mai definita come tale, possiamo arrivare a parlare di poesia Terminalista o, meglio ancora, per entrare nel solco della nostra tradizione culturale, Terminalismo.
Il secolo scorso ci ha dato, Decadentismo, Futurismo, Ermetismo, Surrealismo, ora è tempo che le varie e numerose prolusioni sul canone trovino una indicazione adeguata alla nostra contemporaneità e così sembra che il Terminalismo possa assumere la veste di un plausibile indirizzo alla questione.
Intendiamoci, come ben ci spiega Oldani, l’aggettivo terminale non deve fuorviarci a nessuna significazione di fine, bensì deve far scattare la riflessione su quanto avviene in merito alla riduzione sempre più consistente della distanza tra uomo ed oggetto fino all’intervallo zero in cui l’identificazione uomo-oggetto diviene infinita.
Il pregio dell’operazione di Oldani è quello di ripensare il proprio compito, disincrostare dalle opacità di sistema la consapevolezza della propria funzione, riproporre ruolo e attività dell’intellettuale esercitando sì la responsabilità della critica, ma soprattutto, quella funzionale del “poeta pensante”.
Nell’attuale organizzazione sociale è venuta meno una chiara struttura della produzione e del ciclo produttivo, la produzione di merci è sostituita dalla produzione di servizi, la fatica del lavoro manuale è quasi totalmente soppiantata dalle macchine, l’alienazione delle operazioni ripetitive è ridottissima. Gli oggetti, soprattutto quelli di consumo, sono fatti altrove da una forza lavoro paurosamente lievitante assimilata all’oggetto “usa e getta”
L’emancipazione delle masse con il lavoro è divenuta asservimento delle masse agli oggetti, perdita di riferimenti sociali strutturanti, mancanza di nessi culturali adeguati. Il lavoro, per come lo conoscevamo derivato dell’industrializzazione, è scomparso: non c’è più se non nei paesi in cui ora sono presenti le condizioni di sviluppo industriale e sociale che l’Europa ha già sperimentato.
La crisi del lavoro è crisi sociale, crisi intellettuale e culturale. Questa del Realismo Terminale sembra essere una indicazione di percorso, meglio, di svolta. Di riconsiderazione del punto in cui ci troviamo e tutto sommato, l’individuazione di un profilo in cui ci dibattiamo ormai da troppo tempo.
Ritengo si tratti di una intuizione attorno alla quale sia stato fatto un impegnativo lavoro di scarnificazione e lucidatura che ha iniziato a dare i suoi frutti e che non è affatto concluso, foriero ancora di potenziali iperboli non solo sulla questione del Canone, ma sulla ridefinizione del ruolo dell’intellettuale e sull’utilizzo di quanto individuato come “inversione della similitudine” da soggetto a oggetto-soggetto.
Scrivendo del ruolo che incarna, Oldani si sofferma sul poeta metropolitano, privo di senso, cambiato nell’unità di misura ipersproporzionata, “ago in un pagliaio” nell’infinito oggettuale senza più ruolo riconosciuto; idoneo solo ad affrontare il bricolage occasionale del fare, in una urbanità dispersa, trasformata in “pandemia abitativa”.
Ho avuto modo di sperimentare come tale pensiero possa ben attagliarsi anche alla disciplina Urbanistica, con cui, per motivi professionali, mi sono misurato, scoprendo per tale materia un efficace riscontro con quanto espresso dalla poetica del Realismo Terminale.
Oltre al dominio degli oggetti sull’uomo ed alla similitudine rovesciata, Oldani ben identifica con il termine “pandemia abitativa” la condizione di criticità alla quale siamo sottoposti e nella quale ci dibattiamo da almeno un trentennio. Questa criticità è facilmente riscontabile, da qualche anno, anche in ciò che gli urbanisti hanno individuato come fenomeno in atto che riguarda parte delle nostre città denominandolo A- crescita; sfida imprevista che comporta la ritirata degli spazi urbani, con ampie parti di città che vengono dismesse e lasciate scivolare verso un predestinato degrado e alla miseria sociale.
L’analogia ad una dismissione di manufatti “oggetti urbani”, contenitori che non svolgono più alcuna funzione, risulta alquanto evidente mostrando come ad altri ambiti disciplinari possa adattarsi quanto espresso del R.T.
Il fenomeno coinvolge non sole funzionalità produttive, ma anche ambiti residenziali. (valga come esempio eclatante quanto avvenuto a Detroit, diminuita di due terzi della sua popolazione negli ultimi trent’anni). L’idea che l’organizzazione urbana abbia una crescita senza limite viene regredendo a fronte della contraddizione che vede l’innescarsi di elementi di fuga dai grandi centri con un ritorno a dimensioni vivibili più eque e rassicuranti riportando nella cinta urbana ambiti di campagna o di verde in sostituzione di quelli dismessi.
Come suggerisce Oldani, occorre ridiscutere alla radice l’imbozzolarsi oggettuale nel quale siamo inabissati. Stringere la cintura urbana anziché allargarla all’infinito ed esaltare tutto ciò che può essere messo in “rete”, per ripensare la moltitudine di oggetti simbolo affrancandoli dal superfluo e ridefinirli nell’essenziale.
Eccoci di fronte a grandi sfide, ma se ci si pensa e si specula intellettivamente, altre ne vengono in evidenza.
L’idea del Realismo Terminale appare come un’opportunità di nuova lettura di fenomeni contemporanei così come lo è sotto il profilo dell’esercizio poetico. Non si può evitare di documentare l’epoca che si rinviene e farne poesia, soprattutto se nell’esercizio di critica intellettuale si assume la responsabilità di interpretarne il ruolo e manifestarne la consapevolezza. Qui si mostra la forza della proposta di Guido Oldani. Se gli oggetti si sostituiscono alla natura perché non farne fonte di poesia come lo è stato la natura in passato? Il passo successivo è: tale condizione può divenire “canone di riferimento” a cui rapportare l’azione poetica ed il versificare?
Posso riferire, nella mia limitata esperienza di lettore di poesia, di come l’oggettivismo sostitutivo si insinua lievemente ma sempre più spesso nella versificazione poetica. Valga a tale proposito l’antologia: Novecento non più- verso il realismo terminale- del 2016 con cui si è voluto monitorare l’aderenza di scrittura poetica, volontaria o involontaria, alle tesi del realismo Terminale. Per l’occasione sono state selezionate poesie con riferimenti al mutamento antropologico di inurbamento e accatastamento dei popoli che ha rilevato la supremazia degli oggetti sulla natura, nonché testi in cui è risultato evidente l’utilizzo della similitudine rovesciata in cui è l’oggetto il termine di paragone o il soggetto a cui l’umano o la natura sono riferiti (es. è un atleta veloce come un Frecciarossa)
A questa innovativa tendenza, come risposta all’invasività dell’oggetto, e per una sorta di reazione, ho avuto modo di verificare come rimane ben salda la tradizione di componimenti che rifuggono nel forsennato intimismo o con deviazioni nel mimetismo, abbandonando gli oggetti per rifluire in una centralità individuale, a rappresentare il solo luogo rifugio dove il disagio dell’esistere si attenua e si fa sopportabile,
L’oscillazione della poetica del quotidiano tra il dissolvimento del soggetto nell’oggetto e il rifluire del soggetto nell’astrazione metafisico-mimetica, sintetizzano i due “corni” della questione Terminalista: campo di battaglia o confortevole rifugio? Al di là della annotazione di fatto, Oldani non partecipa dell’una o dell’altra, né indica la via; solo rinviene e documenta nei suoi versi l’epoca dell’oggettivismo diversamente da quanto fa la cultura attuale che sembra non percepire il presente in essere, il traversamento in corso. Nei suoi componimenti, ancorché amari, l’ironia diviene folgorante sintesi, cifra distintiva, direi marchio di fabbrica difficilmente riscontrabile in altri poeti, lasciando comunque aperto il dilemma e la prospettiva che pongono i due corni. L’interrogativo sul futuro possibile, assimilato metaforicamente ad un baco da seta, potrebbe ben essere quello del bozzolo-farfalla oppure quello del bozzolo–sarcofago: la responsabilità ricade su ognuno di noi e per quanto a quella del Poeta, sembra che la partita sia stata aperta con assunzione in proprio di incombenze che hanno travalicato ben oltre la funzione dei versi per assumere forme di onde sonore sempre più pressanti in cerca di padiglioni auricolari capaci di recepire e comprendere il suono dell’intellettuale pensante.
Salvatore Contessini
(giugno 2023)
Guido Oldani è il fondatore del Realismo Terminale. È del 1985 la raccolta Stilnostro (ed CENS). Seguono: Sapone (Rivista Kamen’, 2001), La betoniera (LietoColle, 2005), Il cielo di lardo (Mursia, 2008), Il Realismo Terminale (Mursia, 2010), La guancia sull’asfalto (Mursia, 2018), Farfalle di cemento (2018 Tranan, Svezia). È presente in diverse antologie, tra cui: Il pensiero dominante (Garzanti, 2001), Tutto l’amore che c’è (Einaudi, 2003), Almanacco dello Specchio (Mondadori, 2008), Luci di posizione (Mursia, 2017), Poesie italiane 2016 (Elliot, 2017). Dirige la Collana di poesia Argani e collabora ad Avvenire e Affaritaliani. È tradotto in inglese, svedese, tedesco, russo, arabo, rumeno, spagnolo, polacco, cinese, uzbeco. Nel 2014, al Salone del Libro di Torino, il Realismo Terminale diventa movimento con il Manifesto breve (Oldani, G.Langella ed E.Salibra). Sulla sua poetica Amedeo Anelli ha pubblicato: Alla rovescia del mondo. Introduzione alla poesia di Guido Oldani (LietoColle, 2008/2012) e Oltre il Novecento. Guido Oldani e il Realismo Terminale (Libreria Ticinum 2016 e 2022 con poesie inedite).
Salvatore Contessini (Roma 1953), poeta, saggista, architetto e collaboratore editoriale da circa vent'anni. Ha pubblicato:Il sole sotterraneo della luce nera (2003); Domestico servizio (2007); Criptogrammi – tetralogia di un alfabeto rivelato (2008); A guardia del riposo (2011); Una tempesta di parole - suggerimenti accolti (2011); Dialoghi con l'altro mondo (La Vita Felice 2013) con il quale è stato segnalo al Premio Poesia Lorenzo Montano 28 ed. (2014), finalista a Premio Internazionale di Poesia e Narrativa “Percorsi Letterari dalle Cinqueterre al Golfo dei Poeti” 2014 e finalista Premio Internazionale di Narrativa e Poesia Città di Caserta 2015; La cruna (La Vita Felice 2018) con il quale ha ricevuto la Menzione d’onore Premio Montano 2019; La direzione del silenzio (La Vita felice 2021).
Ha curato i volumi antologici Dalla stessa parte - uomini contro la violenza sulle donne (2021)con Salvatore Sblando; Fotoscritture – Istantanee di Erico Menczer - immagine e poesia (2005);, Scritture urbane - Appunti fotografici di Gianfilippo Biazzo, Immagine e Poesia su Roma (2007); Arbor Poetica - Poesie su immagini di Stefano De Francisci (2011) e Novecento non più - verso il Realismo Terminale (2016) con Diana Battaggia; Il diario poetico Il segreto delle Fragole, edizione 2007 con Stefania Crema.
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