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Storie Naturali (Raffaelli Editore) di Vincenzo Della Mea letto da Melania Panico

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Quando apriamo “Storie naturali” abbiamo subito l’impressione che si tratti di un libro con il quale l’autore intenda fare un bilancio e in effetti è forse così, essendo una raccolta di poesie che raggruppa testi che vanno dal 1992 al 2015 – alcune sezioni sono totalmente inedite, altre pubblicate in precedenti plaquettes o riviste - e i bilanci, si sa, nascondono sempre lati oscuri. Eppure in Storie naturali anche le parti che appaiono più deboli concorrono all’obiettivo finale: un libro che non parla di scienza - come potrebbe sembrare (l’autore si occupa da sempre del rapporto arte/scienza) - ma attraverso la scienza e attraverso il simbolo per approdare poi a una ricerca di soluzione: “Dice che è tutto chiaro all’improvviso /l’occhio rosso acceso del cielo, basso” e ancora “La sintesi del giusto, la misura /di chi può limitarsi a dire ho vinto,/ ho avuto ragione, con un sorriso”. La ricerca, quindi. Poi all’improvviso, quando sembra che la risposta si stia per manifestare, quando siamo lì lì per trovare una soluzione – sembra di intravederla in alcune sezioni specifiche come La ferita benigna e Storie naturali – qualcosa interviene a rimpolpare la frattura. E in questa frattura c’è la poesia. C’è molta poesia. L’aggettivo naturale, per fare riferimento al titolo della raccolta, suggerisce molte interpretazioni. Non significa qui statico ma neanche relativo: naturale è ciò che riguarda il reale. Una riflessione che ingloba tutto e questo non è certamente un processo semplice. Eppure il senso non è avere una visuale perfetta. È avere una visuale. È sicuramente un libro eterogeneo come eterogenei sono gli ambiti in cui la ferita si affaccia e rende giustizia alla visione. Una diffrazione di cui l’uomo non può che essere portatore, a volte insano e per questo vitale. Melania Panico Padre Duro alle lusinghe, col muso rotto dalle rughe e la calce nei capelli lavati di sabato con l’aceto, nel giorno del riposo t’alzi presto bestemmiando fumo, poi spacchi legna con i jeans della festa finché stai male. Ma tu sai – l’ho capito – che non è quello il male che ci porterà via. * La sintesi del giusto, la misura di chi può limitarsi a dire ho vinto, ho avuto ragione, con un sorriso; non la frana di consonanti e lacrime che giustifica l’errore e racconta il concatenarsi di eventi ostili. Vorrei questo, ma questo è un verso in più. La crepa La crepa è nata chissà come diresti per caso magari un differenziale interiore una tensione nel terreno un errore di miscelazione cresce a prima vista insensibilmente ma se ci pensi capita per punti discreti a piccole catastrofi che scopri la mattina

Nato nel 1967, Vincenzo Della Mea è ricercatore universitario nel campo dell’Informatica Medica e delle Tecnologie Web a Udine. Nel 1999 ha pubblicato L’infanzia di Gödel (La Barca di Babele, Meduno); nel 2004 Algoritmi (Lietocolle; premio Nelle terre dei Pallavicino 2005); nel 2008 la plaquette I sogni della guerra (Circolo Menocchio, Montereale Valcellina). Nel 2016 ha pubblicato Storie naturali – poesie 1992-2015 (Raffaelli Editore, Rimini). Sue poesie sono apparse su diverse riviste ed antologie tra cui Nuovi Argomenti, Caffè Michelangiolo, Almanacco del Ramo d’Oro, Nazione Indiana, Daemon, Le voci della Luna ed in traduzione su World Literature Today. È da sempre interessato al rapporto tra poesia e scienza, che oltre che nei testi si è esplicitato in cura di volumi (antologia “Verso i bit”, Lietocolle), riviste, eventi.

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